esiste la lingua veneta?
Siamo stati abituati fin dall'età scolastica a pensare che il veneto è un dialetto,dialetto derivato dalla lingua italiana,ma è proprio così?
inanzitutto va considerato il fatto che lo Stato è un concetto politico e come conseguenza anche il suo popolo lo è; una nazione invece è un concetto essenzialmente psicologico. Conseguenza di ciò è che anche la lingua ufficiale di un popolo è un concetto essenzialmente politico,mentre la lingua di una nazione è un concetto psicologico
Qual è la differenza tra lingua e dialetto?
La differenza è solo ideologica! dipende se una nazione viene riconosciuta o meno da uno stato.
Inoltre se guardiamo l'etimologia: dialetto deriva dal greco "Dialektos" che significa dialogo,derivato dal verbo dialègomai che significa parlare,in pratica quindi sono tutti dialektos cioè lingue.
guardiamo ora la definizione che ne da la grammatica Zanichelli (M Dardano, P. Trifone pag. 29-30)
"In genere il dialetto è usato in un'area più circoscritta rispetto alla lingua,la quale invece appare diffusa in un'area più vasta.I motivi di tale maggiore espansione sono culturali in italia,politici in Francia e Spagna.Le opere di Dante,Petrarca e Boccaccio diedero un grande prestigio al fiorentino del Trecento; questo dialetto divenuto lingua d'arte attraverso l'elaborazione dei tre grandi scrittori,fu in seguito addottato dalle persone colte e dai centri di potere della penisola.In Francia e Spagna fu invece il potere monarchico ad imporre e diffondere il dialetto usato dalla corte;
nacqua così una lingua dello stato e dell'amministrazione riconosciuta dai sudditi come simbolo dell'unità nazionale "
in questo paragrafo si afferma:
- l'italiano era un dialetto,precisamente il dialetto di Firenze.
- l'espansione dell'italiano è stata culturale (in Spagna e Francia invece è stata politica)
- in Italia il dialetto di Firenze,diventato lingua statale,è stato adottato dalle persone colte e dai centri di potere(in Spagna e Francia è stato imposto)
- l'italiano è nato come una lingua dello stato,riconosciuta dai sudditi come simbolo di unità nazionale.
Nello stato veneto che lingua parlavano le persone colte?
"...In Italia è esistita anche un'altra lingua oltre a quella basata sul Toscano,una vera Lingua che serviva agli atti notarili,ai rapporti dei diplomatici,alla storiografia,alla poesia e al teatro,alla conservazione colta dei ceti più alti,cioè il Veneziano,l'unico che assunse il rango di lingua ufficiale"
"(Il veneziano) era la sola lingua parlata a Venezia,da tutte le classi sociali ed era perfino la lingua ufficiale negli affari di stato,nelle arringhe nel gran consiglio,ed era la lingua dei tribunali-persino le leggi si stampavano in veneziano.Il veneziano non era un dialetto,era una lingua,la sola lingua parlata "
(Theodor Elwert,linguista dell'università di Magonza,studi di letteratura veneziana,Venezia 1958,p.165,)
Quando i veneti sentirono per la prima volta il toscano?
(nel veneto) si cominciò a sentire un nuovo strano modo di parlare,l'italiano,soltanto nel 1915-18 durante la guerra combattuta sul territorio veneto in seguito all'aggressione italiana all'Austria"
(G. Marcato, Il dialetto come problema sociale e politico. in Schema n.5,III-1980,Facoltà di scienze politiche dell'università di padova)
Assumendo per vero questo testo la domanda sorge spontanea: come fa il veneto ad essere un dialetto dell'italiano se i veneti scoprono l'italiano solo nel 1915-18?
Quindi,se la lingua veneta non è un dialetto dell'italiano,da dove deriva?
Esistono diverse ipotesi a riguardo:
- L'ipotesi che la lingua veneta fosse un dialetto derivato dalla lingua illirica
La lingua illirica era una lingua indoeuropea parlata nella parte occidentale della Penisola balcanica fino ai primi secoli del I millennio d.C. Le testimonianze di tale lingua sono esigue, tanto che non è possibile neppure accertare l'esatta estensione della sua diffusione e il periodo durante il quale fu lingua viva; oggi è considerata una lingua morta,nessuno la parla più.
La causa involontaria che attribuì questa discendenza alla lingua veneta fu lo studioso Helbig. Nel 1876 vennero scoperte ad Este delle tombe di veneti antichi.
Quei ritrovamenti provocarono un tal clamore che il governo di Vienna(al tempo il veneto era sotto l'impero austro-ungarico) iniziò una serie di scavi sistematici, uno studioso(Helbig) dichiarò che la necropoli trovata ad Este non era degli euganei,ma dei Veneti, i quali secondo lui erano un ramo della famiglia illirica.
Questa ipotesi sembra essere sostenuta anche dal passo di Erodoto "I,196" nell'Historiae,nel quale spiega le leggi dei babilonesi e afferma che una di queste è comune anche ai veneti.
E' su questa frase che nacque l'incomprensione: vicino alla parola veneti c'era la parola iliria che i traduttori interpretarono come aggettivo(illirici) mentre in realtà era un complemento di luogo(in illiria).
Questo errore rimase fino al 1930,anno in cui altri due studiosi non se ne accorsero e sfatarono così l'idea di una discendenza della lingua veneta dagl iilliri.
Krahe nel 1950,nel suo trattato "Das Venetische" affermerà che la lingua delle epigrafi venete non era una lingua di derivazione illirica,ma una parlata autonoma che presentava delle isoglosse con varie lingue europee.
- L'ipotesi che la lingua veneta fosse un dialetto derivato dalla lingua latina
L'ipotesi deriva dal fatto che il Veneto del V-IV secolo è quasi sovrapponibile al latino
guardando M Dardano, P. Trifone pag. 32:
(..Nel corso del medioevo entrarono in italia altri gruppi etnici(Germani,Slavi,Albanesi)conseguentemente altre lingue si aggiunsero a quelle parlate dalle popolazioni di origine latina.
Questa situazione caraterizzata da un notevole frazionamento,si è conservata nell'italia di oggi.
I dialetti italiani si dividono in due grandi gruppi:
1) i dialetti italiani settentrionali,divisi a loro volta in:
1a- dialetti gallo-italici
1b- dialetti veneti
1c- dialetti istriani
2) dialetti italiani centro-meridionali divisi a loro volta in:
2a- dialetti toscani
2b- dialetti mediani
2c-dialetti meridionali intermedi
2d-dialetti meridionali estremi
Tra i dialetti settentrionali e e centro meridionali ci sono notevoli differenze,tanto che si possono dividere con una linea che va da la Spezia a Rimini.
La "linea la spezia-rimini" rappresenta il più importante confine interdialettale italiano.
da questo testo si possono notare alcune cose:
- i cosidetti dialeti veneti sono "a se stanti",infatti non sono compresi ne nei dialetti gallici ne in quelli istriani
- esistono sostanzialmente due italie linguistiche.
- usa il plurale,dialetti veneti.
l'ultimo punto non è condiviso da tutti gli studiosi, infatti citando Francesco SEMI:
"..così le altre varietà venete finiscono per assestarsi(sia pure mantenendo certe caratteristiche locali)in una koinè veneta"
Ritornando alla domanda iniziale:
- Perchè la lingua veneta del V-IV secolo è quasi sovrapponibile al latino?
Secondo alcune ipotesi giunsero in Italia due ondate di Indoeuropei,i veneti e i latini,che erano popoli indipendenti uno dall'altro,ma con tratti culturali comuni.
Esistono anche due leggende a riguardo: la leggenda di Enea,dal quale discesero i latini(romani) e quella di Antenore dal quale discesero i Veneti.
leggenda di Enea:
Enea era un eroe troiano nato sul monte Ida,figlio di Anchise e di Afrodite(la dea venere) che,durante l'assedio della città di Troia,era stato,dopo di Ettore,il più valoroso difensore della città.
Quando Achille e gli Achei conquistarono Troia ,alla fine lascio la Troade portando con se alcuni parenti e iniziò a peregrinare in cerca di nuove terre.
Costeggiò la penisola italica e si fermò nell'attuale lazio,dove venne accolto da Latino,re dei Laurenti.Qui sposò Lavinia,figlia di Latino e fondò la città di Lavinia.
da uno dei suoi discendenti,Silvio,ebbero origine i mitici dodici re silvi di Alba Longa(città progenitrice di Roma).
leggenda di Antenore:
Antenore fu un principe troiano,amico di Menelao e di Ulisse,che erano stati suoi ospiti prima che iniziasse la guerra di Troia,anche Antenore aveva difeso Troia con i suoi due figli di Archiloco ed Acamante che erano i condottieri dei veneti giunti dalla Paflagonia che è una regione sul Mar Nero,
Questo fatto lo conosciamo dall'Iliade di Omero.
"Guidava i Paflagoni l'irsuto cuor di Pilemene,colà dagli Eneti,ov'è la razza delle mule selvagge,queiche tengono Citoro ed abitano intorno a Sesam oed albergano splendide case intorno al fiume Partenio e Cromna ed Egialo,e gli eccelsi Eritini(..) Allora uccisero Pilimene uguale a Marte condottier dei Paflagoni ,magnanimi armati di scudo(..) Dei quarti era condottiero il buon figliolo d'Anchise Enea e con esso i due figlioli d'Antenore Archiloco ed Acamante esperti in ogni battaglia."
quando Troia fu distrutta gli achei lasciarono libero Antenore,in nome della sua amicizia con Menelao e Ulisse; Antenore lasciò la Troade e iniziò a peregrinare,si fermò nell'attuale nord-est della penisola italica dove fondò Patavium(oggi Padova)
quindi se riteniamo che queste leggende abbiano un fondo di verità, latini e veneti hanno le stesse antiche origini,ecco spiegato il motivo della loro somiglianza
(testo liberamente tratto da: "Esiste la lingua veneta" di Giancarlo Cavallin )
primo testo in volgare
Nel 1969 il professor Tagliavini nel suo "Le origini delle lingue neo.latine " spiegò che il primo documento scritto in volgare non era il giuramento del placido capuano dell'anno 960,come si credeva allora,ma un indovinello scritto in lingua veneta a Verona tra gli anni 700 e 800.
l'indovinello diceva:(la soluzione è la penna)
"SE PAREBA BOVES,
ALBA PRATAGLIA ARABA,
ALBO VERSORIO TENEBA,
NEGRO SEMEN SEMINABA"
oggi si traducerebbe in veneto più o meno così: "se parava i bo,bianchi pra el arava,bianco versor el tegneva,ner semensa el semenava" (si noti che non è così' differente da 1200anni fa).
"Si tratta di un indovinello veronese(..)del secolo VIII o al più tardi del IX(..)indovinello sì,non però di origine popolare,ma erudita,e non in latino volgare,ma in schietto volgare(..) che il nostro frammento sia veneto è assolutamente sicuro ,basterebbe per provarlo la forma VERSORIO che deriva da VERSORIUM che corrisponde al VERSOR(aratro) del veneziano,Padovano,Veronese e Bellunese,per aratro(..)In italia Nord.Occidentale domina il tipo PLOVUM (in piemontese si dice PIOV).PARARE nel senso di spingere i buoi è diffuso in alta italia; la parola ALBUS non vive più nel veneto,sostituita dalla parola germanica BLANK,da cui BIANCO.
ALBUS vive solo nella toponomastica al pari della parola PRATAGLIA da cui derivano PRAGLIA in provincia di Padova,Pradai in provincia di Trento."
(C. TAGLIAVINI Le origini delle lingue neolatine,Bologna,1969,pp 524-526)
manuale di veneziano
In Germania è stato ritrovato un manuale di lingua italiana,usato dai mercanti tedeschi all'epoca della Serenissima.
E' interessante riportare un dialogo tratto da questo libro per notare come quello che è chiamato italiano sia in realtà veneziano.
"Astu bon valessio o bon bocassin? – (due tipi di stoffa)
– no ve l’ò io dito? è ho il mior che sia in questa terra. –
– Adu zà (porta qua) ! Lassalo vedere! Tu sa’ ben lordar la to roba!
– E’ la loldo cho la veritade. –
– Questo sa ben Dio –"
(tratto da "Parlar Veneto" di Gianna Marcato)
lingue locali a scuola
E' giusto insegnare il veneto a scuola?
Non credo sia la sede giusta per iniziare un dibattito in proposito,quindi mi limito a riportare una circolare(programma scolastico) di epoca fascista:
Classe Prima: “esercizi di pronuncia fonetica dialettale”; “frasi dialettali da tradurre in italiano”.
Classe Seconda: “esercizi di traduzione dal dialetto di nomi di persona, di cosa, di animali, di piante, d'oggetti”; “traduzione dal dialetto di motti, proverbi e modi di dire”; “brevissime poesie dialettali”; “novelline e leggende popolari, attingendo particolarmente al tesoro regionale”; “gara per presentare in lingua italiana una novellina presentata nell'originale forma dialettale”.
Classe Terza: “recitazione di poesie dialettali locali”; “dialoghi, novelline dialettali”; “indovinelli in dialetto e in italiano”.
Classe Quarta: “traduzioni dal dialetto”.
Classe Quinta: “traduzione dal dialetto di novelle, di motti e proverbi locali, di frasi dialettali di difficile traduzione”; “qualche poesia dialettale regionale”.
(“Programmi didattici particolareggiati per le scuole elementari compilati in base a quelli governativi
Regio Decreto 1° ottobre 1923 n.2185 e Ordinanza Ministeriale 11 novembre 1923”, specificamente compilati per la “Direzione Didattica Governativa di Cesena” nel 1925 (Anno III dell'Era Fascista").
Da questo testo sappiamo dunque che i bambini, almeno fino al 1923,nelle scuole parlavano regolarmente nel “dialetto locale” e che questa pratica era non solo tollerata, ma anche sfruttata al fine di imparare meglio l'italiano, e non solo per i primi anni, ma anche fino alla quinta elementare (quando quasi tutti concludevano i loro studi).
Si entrava a scuola con la propria lingua locale e si usciva con entrambe le lingue.
Sappiamo inoltre che i nomi di persona erano ancora nelle versioni locali (si veda il programma del secondo anno).
Come dice giustamente la fonte, da cui ho tratto la circolare, non sappiamo quanto sia stato applicato questo programma;probabilmente è rimasto su carta, o forse è durato quei pochi anni nei quali il suo ideatore Giuseppe Lombardo Radice (docente universitario siciliano di pedagogia) è rimasto parte dell'organizzazione del Ministero dell'Istruzione retto da Giovanni Gentile.
E' interessante riportare il pensiero di Giuseppe Lombardo Radice:
“Il dialetto è una lingua viva, sincera, piena ed è la lingua dell’alunno, perciò l’unico punto di partenza possibile a un insegnamento linguistico”.
C'è stata, inoltre una serie di pubblicazioni editoriali di “Libri per gli esercizi di traduzione dal dialetto"
Per il Veneto è stato stampato un “sussidiario per la terza classe elementare",edizioni Industrie Riunite Editoriali Siciliane" 1924;vediamone l'introduzione(nella ristampa del 1979):
"Una lieve ventata di dialettalità nella scuola, dunque, quella del '23, ma che spinse tuttavia alcuni editori italiani [...] a pubblicare tra il '24 e il '26 una serie di volumetti che contenevano poesie o prose nei dialetti delle singole regioni, con o senza la traduzione a fianco, con eventuali osservazioni grammaticali e con glossarietti finali"
Fra gli autori di questi libretti si distingue, per il Veneto, Ada Adamo Bazzani (1866-1971) insegnante della scuola «A. Diaz» di Venezia, maestra appassionata e intelligente, autrice di diversi fortunati libri di testo per le scuole elementari.
"Riproporre al pubblico dopo cinquant'anni «El parlar de la mama» [tale è il titolo del “sussidiario”. NdR] della Adamo Bazzani è un'operazione che ha anzitutto un significato documentario, ma che mira anche ad uno scopo un po' più ambizioso, quello di avviare il problema del dialetto nella scuola.
Infatti i programmi e gli indirizzi ministeriali da un lato dichiarano [negli anni '70. NdR] esplicitamente di voler «emarginare» il dialetto, ma dall'altro richiamano l'attenzione sulla necessità di tener ben presente il «mondo», la «realtà», nella quale il bambino vive, e questa realtà è ancora per molti una realtà dialettale, che va quindi tenuta presente, studiata e conosciuta: riprendere in sede scolastica il dialetto, accanto – si badi bene –, non in opposizione alla lingua, significa tra l'altro riscoprire un mondo di valori culturali e umani, la cui scomparsa significherebbe soltanto un impoverimento per tutti.”
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D'altronde ancora oggi il veneto sembra essere ben radicato nel territorio,esemplare è questo articolo di giornale del 2015:
"(..)Ne avrebbe da raccontare Lorenzo Gaggino, dirigente scolastico nel Vicentino e presidente regionale dell’Associazione dei dirigenti dell a scuola: «Quando insegnavo Agronomia negli istituti tecnici, non davo la sufficienza se riscontravo errori di grammatica negli elaborati. Ma sempre più noto che i nostri alunni si esprimono in dialetto a svantaggio dell’italiano, perfino gli immigrati di seconda generazione sono influenzati in questo dai loro coetanei veneti"
(http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2015/31-ottobre-2015/insufficiente-italiano-bocciato-scuola-riammesso-tribunale-non-basta-2302123494326.shtml
termini italiani di origine Veneta
Ciao
deriva dal veneziano "s'ciao", ovvero "[sono tuo] schiavo".
Sebbene si imponga a partire dal fine ottocento, è possibile osservarne la presenza nelle varie commedie del Goldoni, generalmente utilizzata dai nobili veneziani in senso o ruffiano (verso qualcuno cui si desiderava avere dei favori) o amoroso (verso la propria amata in segno di devozione).
Successivamente lo "s'ciao" viene lombardizzato in "ciao", diffondendosi ampliamente in tutta Italia.
La parola si è diffusa per il mondo a seguito delle migrazioni ed è entrata come saluto informale anche nel lessico di numerose altre lingue, quasi sempre unicamente per il commiato.
Elenco alcuni casi in cui la parola "ciao" o parole derivate da essa sono entrate nel lessico informale di altre lingue.
-albanese: çao/qao;
-bosniaco: ćao;
-bulgaro: чао (čao, più usato nel commiato);
-ceco: čau (sia nell'incontro sia nel commiato);
-esperanto: ĉaŭ (più usato nel commiato);
-estone: tšau (sia nell'incontro sia nel commiato);
-francese: ciao o tchao (nel commiato);
-lettone: čau (sia nell'incontro sia nel commiato);
-lituano: čiau (più usato nel commiato);
-macedone: чао (čao, nel commiato);
-maltese: ċaw (nel commiato);
-portoghese: tchau (nel commiato);
-rumeno: ciao o raramente ciau (più usato nel commiato);
-russo: чао (čao, nel commiato);
-serbo e croato: ћао o ćao (sia nell'incontro sia nel commiato);
-slovacco: čau (più usato nel commiato);
-sloveno: čau (sia nell'incontro sia nel commiato);
-spagnolo: chao o, più raramente chau (usato soprattutto nel commiato);
-tedesco: ciao (solo nel commiato);
-turco: çav (nel commiato);
-vietnamita: chào (sia nell'incontro sia nel commiato);
Gazzetta
La maggior parte dei quotidiani, sia italiani sia stranieri, viene titolata con questa parola,ma quale è il motivo?
A Venezia, nel 1563, venne messo in vendita, al prezzo di due soldi, un "foglio avvisi", manoscritto di piccolo formato (4-8 pagine), che riportava notizie in riguardo alla crisi dei rapporti con l'impero turco,.
Le copie vendute di questo manoscritto venivano generalmente pagate con una moneta d'argento del valore di due soldi, coniata dal 1539 al 1559, il cui nome popolare era Gaxeta.
Da allora i giornali assunsero per estensione il nome della moneta con cui si pagava questo "notiziario" nella Venezia e, successivamente, si italianizzò in Gazzetta.
Talian
Come visto in altre sessioni del sito,con l'unità d'italia il veneto,così come molte altre zone della penisola,si trovava in condizioni disastrose.
In Brasile intanto si stavano verificando dei cambiamenti epocali: Il Brasile ha sempre contato sulla manodopera degli schiavi neri,però nel 1850 il governo vietò il commercio degli schiavi e il 13 maggio 1888 abolì del tutto la schiavitù.
Vi era quindi urgenza,da parte del governo brasiliano,di importare manodopera,la soluzione arrivò dall'emigrazione degli abitanti della penisola italica che invogliati dalle pubblicità delle agenzie di immigrazione andarono in America a cercar fortuna.
Le emigrazioni verso il Brasile si possono dividere in due scaglioni principali: uno dal 1870 al 1910 dovuto all'unificazione della penisola e alle conseguenze per il popolo, l'altro coincidente con le guerre mondiali.
Negli anni 60 invece,anni del boom economico, le emigrazioni si spostano verso Europa e il Brasile non ne subisce alcuna influenza.
Da questa emigrazione nacque il Talian o veneto-brasiliano come ci raccontano alcune fonti dirette:
"Il talian l'è na vera lingua nassesta dea fusion dei difarenti dialeti dei nostri primi imigranti,insieme con parole nove necesarie par nominar de novità dea nova strània Patria brasiliana.
i fondamenti dea esistensa de na lingua i ga da vedar con la literatura e fondamentalmente che la sia parlada scrita e informatizada (a sti tempi..)
La è doperada par i dessendenti taliani che ai 20 de maio de 2005 ghe lodemo i 130 del suo arrivo al Brasil.Ma ghe ga tocà viaiar par catarse na nova patria sensa fame,con poco fredo,con manco malatie,sensa guera e con posto par tuti"
(dal sito www.talian.net.br)
"Ghin gera pitosto pochi che saveva lezer e scriver,ma tuti savea parlar puito la lingua del so paese.
intanto par no saver parlar in brasilian, i feva fadiga a capirse coi brasiliani,soratuto co le autorità del logo e coi negossianti.
Alora voia o no voia,ghe ga cognesto imparar calcossa in brasilian e l'istesso ghe ga tocà a far co i so vizinanti taliani,vegnudi dai diversi paese del Veneto.
Ze sta proprio cussita che se ga scuminsià a farse su la nova lingua veneta sul rio-grandense"
(parole del frate Alberto Vitor stawinsky,tratte da "Scoprendo il talian,viaggio di sola andata per la merica. Giorgia Miazzo")
"I nostri vecii, co i ze rivadi, oriundi de i pi difarenti posti del Nord d’Italia, i se ga portadi adrio no solche la fameia e i pochi trapei che i gaveva de suo, ma anca la soa parlada, le soe abitudini, la soa fede, la so maniera de essar.... Qua, metesti tuti insieme, par farse capir un co l’altro, par forsa ghe ga tocà mescolar su i soi dialeti d’origine e, cossita, pianpian ghe ze nassesto sta nova lengua, pi veneta che altro, parchè i veneti i zera la magioranza, el talian o Veneto brasilian"
(Darcy Loss Luzzatto autore di un vocabolario "Brasiliano-talian")
Gli storici considerano che la prima opera letteraria scritta in talian fu "Vita e storia de Nanetto Pipetta,nassuo in italia e vegnudo in merica par catare la cucagna" pubblicata nel 1924 dal frate francescano Aquiles Bernardi (figlio di immigrati da pieve di Soligo,nato a Caxias do Sul) nella rivista Staffetta Riogradense.
Non sappiamo se prima di questa data ci fossero stati altri scritti o se fosse solo una lingua tramandata oralmente, quel che è certo è che a questa opera ne seguirono altre come "Storia de Nino fradello de Nanetto Pipetta"
In seguito,nel 1976 Vitor Stawinski analizzando l'opera di Bernardi,scrisse la prima grammatica: "Gramatica e Vocabulario Veneto-Portugues". Essa presenta 6652 voci del talian ,di cui 347 risultano di origine portoghese
Dal 1930 al 1945 la repubblica del Brasile diventa un regime dittatoriale,nel 1937 viene decretato l'Estado Novo dal presidente Getulio Vargas
L'ingresso del brasile nella II guerra mondiale causò una forte repressione nei confronti degli emigranti di origine straniera visti come una minaccia dal governo nazionalista, in questo clima fu proibito insegnare talian ai bambini,furono chiuse le scuole e si arrivò a proibire le lingue parlate dall'asse Roma-Berlino-Tokyo).
La cosa assurda fu che si arrivò a perseguitare il talian,ma non si fece nulla contro l'italiano (talian-grammaticale)
"Durante la ditadura Vargas i ga proibio la importassion de libri stranieri,ben come l'insegnansa de lengue straniere a toseti e tosete co meno de 14 ani.
De sto modo el talian l'è sta definitivamente bandio da la scola.
L'interessante l'è che l'italiano,capir toscano,che pena uno in mila come go ben dito saveva parlarlo,no l'è mia sta proibio!"
(Darcy Loss Luzzatto)
Inoltre,come in ogni dittatura che si rispetti (si veda come si comportarono i francesi e gli italiani..) venne sistematicamente modificata la toponomastica.
Così Nova Trento diventava Flores da Cunha, Nova Vicenza diventava Farrounpinha, Monte Veneto diventava Cotipora e così via..
Per avere un'idea di come "la cucagna" si rivelò essere solo un miraggio,basta leggere alcune lettere dell'epoca:
"Per conto del'America la xe na merda perchè i lavori vano male....mi toca travagiare asieme coi neri con zerle sule spale su par i monti come un musso.Ala matina si comincia colle stelle e la sera a casa cole stelle.Per conto del mangiare a la matina Fasoi,a mezogiorno fasoli a las era fasoli.
Il paese distante una giornata di camino;per conto dei viveri sono cari...i bissi nei piedi i xe come le formighe in italia"
(Scritto nel 1883 da un emigrato di Descavaldo,(San paolo))
"Siamo rivatti con fellicissimo viaggio e con piena salute,ma credette che qui è una miseria di quelle più grande,una fame immenza,molti pochi lavori meno d'itali, i viveri con quello che si spende per vivere una settimana qui in merica,in italia si vive un mese senza esagerare: più qui sta una infestosa malattia che e la varola che si è sparsa in tutto il brasile,una grande mortorità di bambini e gente,insomma un disastro grandissimo,noi non godiamo salue,qui per il dottore ci vuole 10 fiorini,insomma qui si muore sensa prette sensa dottore come le bestie...se potessi spedirmi qualche cosa di denaro mi tornerai vedere altrimenti non mi vedrai mai più,pensa bene che noi siamo all'estrema miseria"
(Scritto il 16 febbraio 1889 da Giuseppe e Luisa Beraldo di Valinhos)
Negli ultimi anni Il crescente progresso di integrazione,influenza portoghese tra nuove generazioni e l' informazione globalizzata hanno via via ridotto l'uso del talian,per questo motivo sono state favorite delle iniziative culturali volte a preservare questa lingua:
Molte radio sono oggi in talian,inoltre nel 1988 con il decreto legge 48/88 Serafina Correa lancia un primo progetto di valorizzazione della lingua,costumi e tradizioni.
Il 28 maggio 1996 con il decreto legge 33/96 viene permesso e incentivato l'insegnamento del talian nelle scuole pubbliche.
Il 19 maggio 2009 con il progetto di legge 50/2007 il talian diventa viene riconosciuto come parte integrante del patrimonio storico e culturale del Rio Grande do Sul.
Perfino alcuni tipi di messe son celebrati in talian:
Una nota interessante:
"Roma,adii 7 marzo 1889
Si ha da porto alegre (Brasile meridionale) che gli emigranti vi arrivano in numero così eccessivo da rendere impossibile il loro sollecito collocamento.
Ed intanto versano nella più squallida miseria.Per maggiore sventura si è manifestata la febbre gialla che cagiona grande mortalità
Il ministero prega di rendere pubbliche nei soliti modi queste notizie affinchè gli emigranti siano distolti per ora e sino a tmpi migliori dall'avviarsi al brasile meridionale"
(comunicazione del ministero dell'interno,1889,fondo emigrazione,FAST)
Per un confronto interessante tra talian e veneto attuale:
Chipilo
Nel 1881 nel trevigiano il fiume Piave straripò sommergendo e devastando un piccolo paesino di nome Segusino, in quello stesso periodo, il governo messicano favoriva la colonizzazione del Paese, privilegiando gli emigranti provenienti dall’area mediterranea. I piani prevedevano l’insediamento di 200 mila coloni italiani (anche se in realtà ne arrivarono molti meno)
Fu così che il 7 ottobre 1882, trentotto famiglie di Segusino firmarono un contratto con il governo messicano e lasciarono per sempre la loro terra violata dall’impeto del Piave. Ma al loro arrivo dall’altra parte dell’oceano, non trovarono quell’America che tutti avevano decantato loro. Il terreno affidato ai segusinesi era di 600 ettari in tutto. Qui fondarono Chipilo, nella valle di Puebla.
All’epoca c’era un solo edificio: una vecchia hacienda abbandonata chiamata Hacienda Quitacalzones. La zona era tristemente nota per i briganti che assalivano i viaggiatori. I segusinesi non si dettero per vinti e, forti della tenacia che ha sempre caratterizzato le genti venete, si adattarono a vivere tutti insieme per i primi tempi, almeno finché ogni famiglia non riuscì a costruire una casa per sé.
Formarono una comunità ristretta che,così come successe nel Rio Grande do Sul,gli permise di conservare la propria lingua nei secoli.
"Nella località Chipilo de Francisco Javier Mina tutti parlano in maniera strana. Lì, la zuppa viene chiamata «menestra» ed i fagioli sono i «fasui». Quando gli abitanti del luogo si accomiatano, non si dicono arrivederci: dicono «se vedon». Nascosta nel centro del Messico ed insediata in terra azteca, questa comunità di meno di 5.000 abitanti non parla né castigliano né náhuatl: la loro lingua è un dialetto del nord-est d’Italia, del Veneto, tramandato dagli immigrati che attraversarono l’Atlantico negli ultimi anni del secolo XIX.Mentre il dialetto in Italia continuò la sua evoluzione, la lingua di Chipilo rimase invariata nel tempo. «Quando incontriamo un veneto, ci dice che parliamo come i suoi nonni» – racconta Javier Galeazzi Berra, proprietario di un ristorante all’ingresso del paesino. «E c’è gente che ci deride perché dice che non è italiano. A noi non importa se non lo è, in quanto resta pur sempre la nostra lingua!» – esclama deciso, prima di farsi una grossa risata.In questo piccolo borgo, a soli 15 chilometri dal capoluogo Puebla, sembra che gli anni non siano passati.A Javier, come a tutti i cipilegni, il dialetto lo insegnarono i suoi genitori, i quali lo appresero dai loro nonni e questi dai loro trisavoli. Ciascuno dei lampioni di Chipilo ha disegnato sopra una bandiera italiana. Lì, tutti si sentono veneti. Javier ci rivela che i bambini imparano il dialetto prima del castigliano e che sono obbligati a studiare spagnolo quando vanno a scuola. Lui conosce anche l’inglese, frutto del suo soggiorno negli Stati Uniti, dove ha vissuto per 25 anni. Il destino, tuttavia, ha voluto che si sposasse con una cipilegna e che, dopo la sua avventura dall’altro lato della frontiera, tornasse insieme alle sue tre figlie alla terra natia.Le storie dei cipilegni che finirono per sposarsi con altri cipilegni sono innumerevoli. Per ciò, Chipilo è come una grande famiglia. «Dalla parte di mio padre erano 22 fratelli. Era il parroco che univa a quelli che rimanevano vedovi» – racconta la moglie di Javier. Loro, come molti altri sposi, portano lo stesso cognome.Alcuni, addirittura, avvertono dicendo che quelli di fuori è meglio che non si avvicinino. (..)
Ad ogni modo, i cipilegni sono veneti non solo nella lingua. Molti sono biondi e con gli occhi chiari in una terra di meticci; tutti mangiano la polenta (piatto del nord Italia a base di farina di mais) e giocano a «bocce» (simile al bowling ma praticato in un campo di sabbia). Addirittura hanno un monticello chiamato Monte Grappa, in onore dei caduti italiani nella Prima Guerra Mondiale. La statua di una vergine e un pezzo originale del massiccio italiano, regalo della terra amata, vigilano il paesino dall’alto della collina. Una placca scritta in italiano cita: “Intriso di nobile italico sangue simbolo della patria lontana testimonio dell’eroismo italiano”.C’è da domandarsi se i cipilegni riescano a comprendere ciò che è scritto nell’insegna o se sappiano dove si trova il Monte Grappa.Javier non è mai stato nel Bel Paese, così come la maggior parte dei suoi compaesani. «Io capisco gli italiani quando parlano, ma loro non capiscono quello che dico» – confessa. Fino al 1982, centenario della fondazione di Chipilo, i “veneti del Messico” non ebbero nessun contatto con l’Italia. A partire da quell’anno, il municipio di Segusino iniziò ad organizzare “scambi” tra le famiglie di entrambi i paesi, lontane ma accomunate dalla stessa identità.(..)
Il suo obiettivo, oltre quello di rendersi autonomo dal vicino municipio di San Gregorio Atzompa, dal quale dipende Chipilo, è qualcosa che potrebbe sembrare uno sproposito: chiedere che il veneto venga riconosciuto come lingua indigena.Carolyn McKay, una linguista statunitense, fu l’unica che provò a stabilire un sistema di scrittura per la lingua di Chipilo, la quale venne tramandata di generazione in generazione solo oralmente. McKay ottenne uno scarso esito. «Qui ognuno scrive come vuole» – dice Martini javier prosegue mostrando le foto di suo padre e dei suoi fratelli. Ripete costantemente il dispiacere che gli provoca pensare che si perdano la lingua e le abitudini dei suoi familiari: l’unico patrimonio che gli rimane di una terra che mai vide ma che sente sua.
(tratto da http://italiadallestero.info/archives/20357)