Rivolte post unitarie
Per colmare il debito pubblico accresciuto dalle campagne militari del Risorgimento, nel 1868 il governo italiano varò una legge che prevedeva una tassa sul quantitativo di grano che veniva portato a macinare nei mulini.
Le rivolte contro l'unità d'Italia e le condizioni disastrose a cui era sottoposto il popolo,iniziarono già nel 1867 ,ma aumentarono drasticamente a ridosso dell’entrata in vigore della nuova norma, prevista per il 1º gennaio del 1869 ,scoppiò la protesta in centinaia di paesi della penisola; di questi fatti però non è facile trovarne riscontro nei quotidiani dell'epoca perchè per la maggior parte venivano censurati o minimizzati,come nel caso dell'"Arena di verona".
Un grande aiuto invece ci viene dall'analisi degli archivi di stato.
Provincia di Verona
2 Febbraio 1867 a Albaredo un periodico politico locale,"La Fenice" scrive:
"(..) sbollito l'entusiasmo che fece vociare tanti viva,il popolo trovandosi a tavola con la miseria e colla fame ricorse al Municipio per avere lavoro.Questi ne chiedeva consiglio al Prefetto di Verona il quale dicasi rispondeva non sapere per il momento trovare modo di provvedere poichè lo stato pitocco non aveva lavori da offrire,I terrazzani non stimarono di accquettarsi alla risposta poichè colla fame e colla miseria non v'ha transizione,nè concordato,nè trattato segreto,sicchè luned' destisi colla memoria di popolo sovrano aggiogate ad un carro due vacche che in magrezza non reggevano al confronto con quelle d'Egitto,con badili e forche in spalla andarono in giro da chi teneva il granaio fornito e more regum vollero un'offerta volontaria qua d'uno stajo .la di due,insino a che trovarono quel tanto che credettero bastevole a scamparli dal morire di fame"
Ma è probabile che i fatti si svolsero a Gennaio dello stesso anno,infatti cercando nell'archivio di stato di Verona è possibile trovare la "cit. corpo carabinieri reali al prefetto,Verona 31 Gennaio 1867,Sommossa ad Albaredo"
di cui è interessante riportarne questo stralcio:
"(..)Per provvedere le bandiere i signori anno speso denari e per avere il sì(del plebiscito n.d.r) ànno spinto noi paesani a portarlo al Comune,ed ora sti cani domandandogli lavoro o pane rispondono non ghe n'è"
2 giugno 1867 a Verona
Il 2 giugno si tenne la festa dello statuto, festa per eccellenza del nuovo stato unitario,occasione per lo stato per mostrare pubblicamente il patriottismo del popolo;peccato che le cose andarono diversamente:
"(..)L'unico momento della celebrazione al quale il popolo partecipa in massa è quando nel pomeriggio si svolge una gran tombola in Arena,lo spettacolo che presentava quel monumento zeppo di popolo era imponente"
(Adige-Gazzetta del popolo 4 giugno 1867)
28 dicembre 1868 a Trevenzuolo
il sindaco di Trevenzuolo in seguito alle prime proteste per l'imminente tassa sul macinato chiese al prefetto di continuare a «far mostra di forza armata specialmente nei giorni festivi onde evitare che gli animi concitati non si dispongano a farvi disordini»
(tratto da 28 dicembre 1868. Relazione del Sindaco di Trevenzuolo al Prefetto).
2 gennaio 1869 a Sorgà
ci fu una dimostrazione di oltre trecento persone, radunate a suon di tromba e di corno, che si diressero verso il palazzo municipale per stendere una lettera di protesta; poi imposero l’apertura del mulino annunciando pubblicamente che nessuno avrebbe pagato la tassa,ecco cosa dichiarò uno dei leader della rivoluzione:«Se non saremo esauditi ripeteremo in massa più imponente la dimostrazione»
(tratto da 4 gennaio 1869. Relazione dei Carabinieri al Prefetto – Oggetto: “Sulla dimostrazione di Sorgà”)
I responsabili furono individuati in sei uomini tra i venti e i cinquant’anni (tre coloni, un possidente, un bracciante), tutti della frazione di Bonferraro
il 3 gennaio 1869 a Isola Porcarizza
una trentina di persone riunite davanti a un mulino indusse l’incaricato del comune di riscuotere la tassa a lasciare la postazione, lanciando minacce a chi, tra i dimostranti, avesse ceduto:
«Guai a colui che primo pagherà la tassa, passeremo carcerati ciò nulla importa ma la tassa non la si deve pagare»
(tratto da: 3 gennaio 1869. Relazione del Sindaco di Isola Porcarizza al Prefetto – Oggetto: “Disordine avvenuto a Isola Porcarizza”)
La dimostrazione riprese più numerosa nel pomeriggio: duecento persone si radunarono nella piazza del paese, «facendo ogni clamore e grida sediziose, tra le quali Viva l’Austria, Morte ai Signori, Abbasso la tassa pel macinato, e minacciando alcuni pacifici cittadini»
(tratto da: 3 gennaio 1869. Relazione del Sindaco di Isola Porcarizza al Prefetto – Oggetto: “Disordine avvenuto a Isola Porcarizza”)
La folla si disperse alla vista dei carabinieri, che arrestarono nove persone
il 10 gennaio 1869 a Sanguinetto(frazione di Cerea)
venne affisso un cuore di maiale (i carabinieri scrissero che si trattava di «due budelle di maiale piene di sporcizie») al muro di un mulino, con un cartello minatorio
(tratto da: archivio di Verona- 9 gennaio 1869. Relazione del Commissario distrettuale al Prefetto)
Provincia di Treviso
localmente le frizioni tra la classe dirigente cittadina e il clero erano cominciate già all’indomani del plebiscito del 1866, quando il vescovo Zinelli aveva disobbedito al sindaco Caccianiga e si era rifiutato di celebrare esequie solenni in cattedrale per i «martiri» trevigiani morti nelle guerre risorgimentali
(tratto da A. Manesso, La Teresona in piazza “dei signori”, in Treviso-Italia. Viaggio nelle trasformazioni della società tra Otto e Novecento)
Con l’avvicinarsi all’entrata in vigore della tassa sul macinato, la «Gazzetta di Treviso» dà spazio a qualche articolo che mira a ridimensionare la portata e gli effetti della nuova imposta, assicurando che:
"La tassa tornerà sommamente giovevole alle classi meno agiate, e specialmente agli operai; perché ristorandosi le pubbliche finanze, diminuirà il saggio degli interessi dei capitali; e quindi si estenderanno i commerci, si amplieranno le industrie, si continueranno i lavori in corso, se ne intraprenderanno dei nuovi, aumenteranno i salari, e crescerà immensamente il benessere e la prosperità pubblica"
(La Gazzetta di Treviso 18 dicembre 1868)
E una volta appreso che non sarebbe stato possibile impedire la protesta diffondendo l'idea che la tassa fosse giusta e favorevole alle classi meno agiate,ecco come descrisse i cittadini che vi aderirono:
"No, no: questo non è il popolo italiano operoso, svegliato, modesto, generosissimo, ma questa è la pura canaglia istruita e sobillata dai molti reverendi delle campagne che dicono esser la partenza degli austriaci una disgrazia, una punizione celeste come la malattia della vite e l’atrofia dei bachi, questi che gridano come pazzi e insultano villanamente leggi e governo, società ed istituzioni, non sono per dio! fratelli di coloro che per la patria caddero sui campi di Varese, di Solferino, di Milazzo, di Custoza ,codesti gridatori sono la feccia della popolazione, sono gli allievi dell’ignoranza e della superstizione, sono frutta che seminarono i preti e che gli austriaci favorirono per aver una plebe di schiavi e d’ignoranti, non un popolo di cittadini liberi, d’uomini generosi!"
("La Gazzetta di Treviso" 1 gennaio 1869.)
"A Portobuffole un centinaio di “villici” venuti dal vicino paese di Mansuè («noti alla storia come austriacanti», uniti a quelli di Basalghelle, Cornarè e Rigole, si erano radunati in massa, «armati di coltelli e bastoni, allo scopo di impadronirsi del molino di Porto, ch’era stato chiuso per ordine delle Autorità, e macinare ad libitum per non pagare di poi il tributo al governo"
("La Gazzetta di Treviso", 8 gennaio 1869)
Nel novembre 1866, il nuovo governo italiano ridusse e poi vietò del tutto le concessioni per la raccolta dei prodotti secondari del bosco.
Contemporaneamente decise di mettere sul mercato una elevata quantità di alberi: circa 4500 piante nel 1867, altrettante l’anno successivo.
Gli obiettivi erano gli stessi che stavano ispirando la politica economica e fiscale generale: fare cassa e stimolare l’iniziativa privata. La scelta di avviare di fatto la dismissione del bosco e di non utilizzare la manodopera locale per i lavori di taglio aveva causato le proteste dei bisnenti; i timori di «torbidi e malanni» tra le «popolazioni boscherecce» avevano convinto il governo a sospendere il provvedimento, proprio a ridosso dell’introduzione della tassa sul macinato. Il corrispondente della «Gazzetta» aveva riportato le voci dei boscaioli, ascoltate ‘sul campo’:
"Noaltri i ne proibisce de andar a strame, e lori i vende par venti lire le piante che ghen val sessanta: faremo man bassa dei pedai [piccole pianticelle di Rovere] e alora i sarà contenti: andaremo a masnar colla manera e co un colpo de questa pagaremo la masena: a noaltri i ne fa pagar la tansa, e noi vol che se vada a strame, e i ne mette in preson par quattro frasche, e lori po à da vendar par tre quel che val dodese"
Può attestarlo lo stesso Ispettorato se da un individuo a cui non veniva rilasciata la licenza per raccogliere lo strame, non intese queste precise parole:
"noaltri staron quieti finchè no averemo fame, ma a Selva, a Volpago, a Venegazzù, i gusarà le manere, i coparà le guardie, i farà rivoluzion come co ghe gera Beltramini"
("La Gazzetta di Treviso", 27 gennaio 1869)
E' interessante fare un raffronto tra i moti in veneto e quelli in Emilia: In Emilia la Guardia Nazionale spesso localmente fraternizza con i rivoltosi e a essi consegna le armi o si aggrega alle proteste, in Veneto invece essa è sempre il braccio armato dello stato
Emblematico è quello che scrive Federico Bozzini in "L’arciprete e il cavaliere" pag. 123-128.:
"A Cerea (Verona), anche in tempo di pace, la Guardia Nazionale instaura un rapporto non di fratellanza ma di dominio nei confronti del mondo rurale: rappresenta il «"partito italiano", è comandata dai notabili locali e inquadra la micro borghesia della piazza, ma agisce come una "banda", usando metodi violenti e intimidazioni per affermare la propria politica"
O la stessa Arena scrive:
"Quando da Verona parte per una passeggiata militare fuori delle mura, la locale Guardia Nazionale sembra muoversi come un esercito in una terra di occupazione, o come truppa coloniale in esplorazione: «La tenuta per i sig. ufficiali sarà quella di marcia, cioè keppy coperto, spalline, sciarpa e cinturino di cuojo. I sott’ufficiali e militi osserveranno pure la medesima tenuta cioè cappellotto senza spalline, keppy coperto e fucile senza bretella» E se, fuori dalle mura cittadine, incontra un contadino «fermo sulla sua porta di casa che insulta [...] e schermi[sce] la Guardia Nazionale», non esita a dare «una buona lezione all’insolente villano»"
( L’Arena, 10 marzo 1868)
Concludendo con le parole di Federico Bozzini:
"Il problema politico più grosso che il nuovo stato aveva di fronte,ora che l'Italia era fata,era di fare gli italiani.Bisognava in sostanza chiarire agli abitanti dei territori occupati cosa comportasse,al di là del liberalesimo di propaganda,il nuovo ordine di cose. Non era un problema semplice da risolversi poichè bisognava che lo stato rendesse evidente in ogni borgo con la sua violenza poliziesca,legale e militare a fianco di quale classe era schierato.
I fatti che abbiamo raccontato per il veronese dimostrano a sufficienza quanto lontano fosse ancora questo obiettivo nel 1867.Lo stato nel corso di questi eventi era sempre stato costretto a giocare di rimessa anticipato puntualmente dall'azione dei contadini.Il ribellismo perdurava endemico.Spento un tumulto in un paese,fatti qualche decina di arresti,l'obbiettivo politico restava ancora lontano.Il problema era generale e non poteva essere risolto con uno stillicidio di azioni separate.Da un punto di vista politico malgrado l'inevitabile ritorno alla normalità dei contadini,queste singole azioni erano anzi controproducenti .Dimostravano che era sempre possibile ribellarsi.
E' esattamente questo sentimento che bisognava definitivamente soffocare nella coscienza delle masse.Bisognava trascinare contemporaneamente in piazza tutto il contadiname d'Italia e battterlo militarmente.(..)Da questo punto di vista crediamo che possa essere riconsiderata la funzione politica assolta dalla tassa sul macinato(..).Normalmente viene messo in risalto,da un canto lo scopo finanziario al quale essa doveva assolvere e,dall'altro,si insiste sul fatto che il suo rifiuto segnò il momento più alto della ribellione delle masse rurali al nuovo stato unitario.Tutto ciò è vero,ma non è tutto.Se non si collegano i tumulti contro il macinato all'endemico ribelismo che facev afermentare le campagne dopo la conquista italiana non si può cogliere fino in fondo il senso politico di questi moti popolari.(..)E' con la repressione di questi moti che i contadini perdono la loro arroganza un po' troppo avanzata.E' dopo le fucilate del 1869 che esplode la pellagra"
Liberamente tratto da:"I moti del macinato in Veneto Prima analisi di un caso regionale e spunti per una comparazione" Alessandro Casellato
Si veda anche: "Rivolte antiitaliane nel veronese dopo l'unità"