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Elezione del doge

lI metodo di elezione del doge era studiato per impedire massimamente brogli e corporativismi. Si facevano diverse estrazioni multiple di palline (chiamate balote) da un'urna. Da queste balote deriva la moderna parola "ballottaggio". 
Secondo "Cronaca veneta sacra e profana", l'elezione avveniva più o meno così:

 

"venivano chiamati, dopo il funerale per il doge morto, i membri del Gran Consiglio che avevano superato i 30 anni. Numerato così il gruppo di patrizi del Gran Consiglio, venivano messe all'interno di un cappello tante balote quanti erano i membri,di cui, alla prima votazione 30 erano balote d'oro e tutte le altre d'argento; a tal punto, il consigliere più giovane e uno dei tre capi della quarantia (in due probabilmente per controllarsi vicendevolmente) dovevano recarsi nella Basilica di San Marco e trovare un fanciullo che estraesse le sfere dal cappello.
Portato questo al Palazzo Ducale, doveva estrarre una balota ogni qual volta veniva detto ad alta voce il nome di ciascun candidato: se la pallina estratta fosse stata argento, il candidato si sarebbe dovuto allontanare da questa prima votazione, mentre se d'oro sarebbe andato a costituire un nuovo gruppo di 30 membri. In tal gruppo non potevano essere presenti parenti di una stessa famiglia; per ottener ciò, venivano "eliminati" dall'estrazioni successive tutti i famigliari di uno che fosse stato pescato con la beloca d'oro. Questa estrazione, però (come anche le successive 8) era non tanto necessaria per eleggere il futuro doge, quanto per costituire un equilibrato membro elettivo definitivo.
Infatti queste estrazioni creano gruppi dal numero sempre diverso fino a creare una giuria di 41 membri che doveva eleggere il nuovo dux".

 

In brevità:
Dal Gran Consiglio si estraggono a sorte 30, 
da questi 30 si cavano, sempre a sorte, 9
questi 9 eleggono 40 patrizi, dai quali si cavano 12
questi 12 eleggono 25 patrizi, dai quali si cavano 9
questi 9 eleggono 45 patrizi, dai quali si cavano 11
questi 11 eleggono 41 patrizi responsabili dell'elezione finale del doge.

 

Le elezioni davano luogo a pratiche fraudolente. Prima delle votazioni i membri del Maggior Consiglio si ritrovavano davanti al palazzo nel "brolio" ( dal latino "brolus", cioè "orto", retaggio del fatto che la terra su cui tuttora sorge piazza San Marco era in antico proprietà agricola del vicino monastero di San Zaccaria), dove i più potenti cercavano di comprare i voti dei nobili squattrinati, i barnabotti. Questa pratica finì con l'assumere il termine di "broglio", termine usato ancora oggi.
L'elezione del doge era poi ratificata dal Maggior Consiglio.
Nei primi i tempi il doge eletto poteva rifiutare la carica successiva.

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arsenale

Arsenale

L’Arsenale di Venezia,parola derivante dall'arabo che significa casa del mestiere, fu un enorme cantiere navale,una vera e propria città nella città,tanto da richiedere dei toponimi (ancora esistenti) per orientarsi e che indicavano le molteplici attività che si svolgevano.

 

Era (ed è tuttora) ubicato ai margini della città,verso il lido; ciò aveva chiari intenti strategici e logistici infatti era il punto d’arrivo dei legnami e nel contempo una posizione favorevole alla difesa, in caso di eventuali attacchi nemici.

 

L’attività dell'arsenale è documentata fin dal 1104, quando, dopo la prima Crociata, si sentì il bisogno di dare incremento alla costruzione e riparazione delle navi, fondamentale per una città nata sull’acqua.

 

Nel corso degli anni l’Arsenale, dove fervevano attività tanto delicate e importanti per la Repubblica, venne dotato di sempre maggiori forme di protezione e segretezza.

Persino le case che sorgevano intorno dovevano avere un’altezza inferiore alle poderose mura che limitavano i bacini, le darsene, le officine, i magazzini, le corderie e tutta una serie di depositi dei più svariati materiali. 


Verso il 1566, periodo di intensissima attività, nel complesso l’Arsenale era composto da ben 67 squeri coperti con una capacità di rimessaggio di 134 galee. Pochi anni dopo si contano anche cinque squeri acquatici. A coloro che erano impiegati all’interno, tecnici e manodopera, era vietato emigrare e dovevano risiedere nelle case che la Repubblica assegnava loro attorno all’Arsenale.

 

Questi lavoratori specializzati e particolarmente fidati erano chiamati arsenalotti (nel momento di maggior poter ce n'erano quasi 20mila) ,non solo preziosa manodopera, ma incaricati anche dell’ ordine pubblico durante manifestazioni e cerimonie, in caso di disordini. A loro era riservato l’onore di trasportare il Doge appena eletto nel giro della Piazza nel ”pozzetto”, come pure portarne la salma, una volta defunto.

Erano anche addetti allo spegnimento di incendi, molto frequenti, e al soccorso in caso di calamità, una specie di ”protezione civile”. In particolare si ricorda l’esplosione dei depositi della polvere da sparo che nel 1569 distrusse buona parte dell’Arsenale. Malgrado ciò le attività non si fermarono, si costruirono nuove strutture e già nel 1571 fu possibile disporre di una notevole flotta di navi da guerra. Le celebri galeazze che sconfissero la flotta turca a Lepanto.

 

Una particolare magistratura era responsabile delle costruzioni navali pubbliche, costituita da tre Patroni e da un Ammiraglio: il Collegio dell’Arsenale.L’Arsenale era organizzato in modo tale che, finita la costruzione, le galee venivano rimorchiate in punti di carico prestabiliti. Qui venivano fornite di tutti i materiali nautici, bellici e logistici necessari per la partenza.

Dalle torri della porta d’acqua venivano imbarcati alberi e cannoni, lungo il rio ricevevano i remi e, alla fine del percorso, nei pressi della chiesa di San Biagio, venivano caricati i viverii come farina e gallette salate.

 

Una vera e propria catena di montaggio, la prima industria della storia.

 

vediamo due testimonianze illustri:

 

”La base e il fondamento di questa Repubblica, anzi lo honor di tutta Italia è la casa dell’Aresenale che si interpreta Ars Senatus, cioè fortezza, bastione, antemurale e sostegno del Senato.”

(Francesco Sansovino - "Venetia città nobilissima" (1581)


«Quale nell’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -;
tal, non per foco ma per divin’ arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte. »

(Dante Alighieri - Divina commedia)

brevetti

Brevetti

Pochi sanno che l'idea dei brevetti nacque a Venezia. il 19 marzo 1474 m.v  il Senato veneziano (con 116 voti favorevoli, 10 contrari e 3 astenuti) crea lo "Statuto dei Brevetti";lo Statuto recita nella parte introduttiva:

 

"Abbiamo fra noi uomini di grande ingegno, atti ad inventare e scoprire dispositivi ingegnosi: ed è in vista della grandezza e della virtù della nostra città che cercheremo di far arrivare qui sempre più uomini di tale specie ogni giorno"

 

Fra le citazioni dell'epoca troviamo:

"L’andarà parte che per auctorità de questo Conseio, chadaun che farà in questa Cità algun nuovo et ingegnoso artificio, non facto per avanti nel dominio nostro, reducto chel sarà a perfection, siche el se possi usar, et exercitar, sia tegnudo darlo in nota al officio di nostri provveditori de Comun. Siando prohibito a chadaun altro in alguna terra e luogo nostro, far algun altro artificio, ad immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X"

(Archivio di Stato di Venezia [Senato terra, registro 7, carta 32])

 

Lo Statuto dei Brevetti costituirà una pietra miliare, tanto che il filosofo americano Whitehead arrivò a scrivere

"in effetti tutti i sistemi di brevetto occidentali non sono altro che una copia delle note a piè pagina del vecchio statuto veneziano"

(tratto da http://www.shannon.it/blog/breve-storia-della-nascita-dei-brevetti/)

orto botanico

Orto botanico

Nel 1545, Il Senato veneziano deliberò l'istituzione di un hortus simplicium,cioè un orto per la coltivazione delle piante medicinali,per permettere agli studenti di medicina di analizzarle.

Su un terreno  trapezoidale attualmente ampio poco meno di tre campi da calcio, furono messe a coltura specie portate dai diversi continenti, ma soprattutto dai luoghi con i quali Venezia aveva rapporti commerciali(oggi le piante coltivate sono seimila).
E' interessante riportare che poco tempo dopo la sua creazione venne realizzato un muro difensivo per proteggerlo,chiaro esempio di come le piante medicinali al tempo fossero ritenute merci rare.
Nel 1997 l'Unesco lo inserì nella lista del patrimonio mondiale con la motivazione che fu " all'origine di tutti gli orti botanici del mondo".E' in realtà il più antico a non avere mai cambiato collocazione.
L'orto botanico esercitò un ruolo importante non solo nello sviluppo della botanica e delle scienze farmaceutiche,ma anche nella diffusione nella penisola di molte specie esotiche.


Ormai l'orto è una sorta di monumento "storico" della botanica, forse penalizzato dalla collocazione in pieno centro città, che ne ha condizionato lo sviluppo. Eppure è in continua evoluzione. Così, se ora tra le collezioni in mostra( dalle piante carnivore, alle acquatiche, passando attraverso le orchidacee per arrivare alla flora tipica dei Colli Euganei e alle piante rare del triveneto) trova spazio nell' arboreto una quercia subfossile che risale al 700 a.C.
A ricordare il ruolo di ponte tra passato e presente resta la palma ultracentenaria di S Pietro, messa a dimora nel 1585: è diventata famosa come palma di Goethe perché il poeta tedesco, dopo averla studiata nel 1786, la citò nel suo "viaggio in italia" e ispirò la sua teoria sulla "metamorfosi delle piante".

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pitima

Pitima

Un lavoro commissionato e pagato dallo stato era quello della "pitima".
Vestito di rosso, quell'uomo perseguitava letteralmente coloro i quali erano debitori rispetto ad altre persone, mercanti,soldati, armatori o anche solo creditori di gioco:la Serenissima sceglieva quella persona tra i più poveri, ed assicurava il vitto e l'alloggio presso ostelli. pretendendo comunque che il perseguitato venisse seguito e che gli venisse richiesto in ogni momento il saldo del debito, magari con grida e strepiti, ed il creditore non poteva assolutamente reagire alla pittima, pena prigione ed ignominia.
Per Venezia la correttezza tra mercanti e armatori venivano considerate primarie e facevano parte della struttura stessa dello stato .
Tutt'ora a Venezia ci sono i detti" no sta far ea' pittima ", per accusare una persona di lamentarsi continuamente, o " ma ti xe proprio una pittima!

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lapidi d'infamia

Lapidi d'infamia

Nella Serenissima c'era la costumanza di ereggere delle lapidi marmoree per ricordare le infamie compiute (ad esempio tradimenti o furti) da qualche cittadino,in modo da servire da monito per il futuro.
Ci sono molti esempi in tutta lo stato:

- Padova- piazza dei signori, chiesa di San Clemente
 c'è una lapide che ricorda la condanna di alcuni biri (poliziotti) che abusarono del loro potere uccidendo due studenti dell'università;Il 27 dicembre 1723, dopo l’esecuzione con impiccagione dei rei, i Decemviri deliberarono di murare una lapide sulla facciata della chiesetta che recita così:

"Per il gran atroce delitto commesso da diversi sbiri li 15 febraro 1722 contro alcuni scolari nell’interno di questa abitazione furono dal Cons.jo dei X al 24 settembre 1723 tutti li sbiri rei al N.o di 12,a misura delle loro differenti rillevate colpe, condannati rispettivamente al patibolo della forca, alla gallea et all’oscuro carcere (si intendono i sotterranei de Piombi ) a tempo et in vita con severissima condanna, il che resti in perpetua memoria, de la Pub.ca Giustizia et della publica costante protetione verso la prediletta Insigne Università dello Studio di Padova."

-Caneva(Pordenone)- piazza principale

Si trova una colonna d'infamia in ricordo della congiura ordita da Costantino Lucchese che uccise a tradimento il podestà locale,nell'iscrizione c'è scritto:

"Pietro Lucchese detto Conte, fu impiccato in Venezia per sentenza dell’Eccellentissmo Cons.o  dei X del dì 19 s.mbre 1791 perché reo dell’interfezione commessa li 8 dicembre 1790 dell’allora Podestà di Caneva"

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