top of page

Domenico Pittarini  1829 - 1901

Domenico Pittarini è stato un poeta vicentino.
Nasce ad Ancignano di Sandrigo il 28 agosto 1829, compie gli studi ginnasiali a Bassano, si laurea in farmacia a Padova nel 1849 e a Vicenza fa le prime esperienze di farmacista. 

Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, è arrestato nel 1859 dalle autorità austriache: non ci troviamo quindi di fronte a un’austriacante ma a un patriota veneto che ben presto si accorge come il Veneto sia diventato una colonia del neonato Regno d’Italia.


 Rimesso in libertà trova lavoro prima nella farmacia di S. Piero in Gù (Pd), poi a Fara Vicentino ove rimane dal 1878 al 1888; travolto dai debiti dovuti fondamentalmente alla sua generosità e all’incapacità di riscuotere i crediti, parte per l’Argentina dove vive stentamente per tredici anni e dove muore il 28 novembre 1901 a El Trebol (Cordoba).
In una lettera inviata pochi giorni prima della dipartita al nipote scrive:

 

“Ghe cago ai talgiani”,

“ste sènache porche” (sènache, persone magre e patite),

“i ne monde, i ne tosa, i n’inciòa, gnancora saemo un fiol de na scroa” (ci mungono, ci tosano, ci inchiodano come un figlio di una scrofa),

“marsoni” (massoni),

“dente salvadega che magna i cris-ciani, pì pedo dei Truchi e dei Luterani” (gente selvaggia che mangia i cristiani, peggio dei turchi e dei luterani)

 

questo testo si può trovare nel volume "Il Veneto" di Giulio Einaudi Editore - 1984 - collana le regioni dall'unità ad oggi.

 

La sua avversione per i talgiani la si può riscontrare anche nella commedia "la politica dei villani" una commedia che ebbe una grandissima diffusione nelle campagne venete a cavallo fra l’ottocento e il novecento. 

Commedia in due atti scritta a S. Piero in Gù negli anni 1868-69 e ristampata già nel 1884; la fama del Pittarini è notevole e viene chiamato “L’Omero dei poveri”.



"La politica dei villani- venne letta da due generazioni di contadini, durante le veglie nelle stalle, alla scarsa luce della lampada a petrolio. Mandata a memoria da molti, ci sono ancor oggi dei vecchi contadini che ne ricordano larghi brani. Alcuni versi, pronunciati a modo di proverbio, sono diventati i cavalli di battaglia della saggezza campagnola”;

così il prestigioso Ferdinando Bandini nelle note introduttive alla ristampa del 1960, Neri Pozza Editore. 

 


Altra commedia di successo del Pittarini fu “Le elezioni comunali in villa” stampate a Schio nel 1912 presso la tipografia dei fratelli Miola, nella quale l’autore sembra proprio descrivere i fatti tragicomici che caratterizzarono il plebiscito-truffa di annessione del Veneto all’Italia il 21-22 ottobre 1866 e le successive elezioni.

Ecco un dialogo estremamente significativo:


I° contadino: Ciò, chi ghetu metesto ti sulle schene ?
II° contadino: Mi gnente, me le ga consegnà el cursore scrite e tuto.
I° contadino: E anca mi istesso, manco fadiga.
II° contadino: Manco secade.

 


Nel 1980 Neri Pozza Editore ristampa “Laude a Molvena e altre poesie in lingua rustica”; degne altresì di nota le collaborazioni del Pittarini ai giornali dell’epoca “Il Summano”, “L’iride” e “El visentin” dove a volte si firma “Niccodemo”
Dai suoi lavori emerge un profondo conoscitore della realtà che lo circonda, degli umori e delle convinzioni del popolo veneto, ma soprattutto il Pittarini, con i gustosi dialoghi dei suoi contadini, anticipa le conclusioni che gli storici più obiettivi saranno costretti a trarre dopo oltre un secolo: il risorgimento fu nel Veneto un fatto elitario, che coinvolse quattro massoni e quattro liberali e che vide la stragrande maggioranza del nostro popolo del tutto estranea, se non ostile, agli eventi che segnarono in maniera decisiva la storia della nostra regione; significativo in questo contesto che il Pittarini inserisca nella sua opera le ribellioni di Thiene e di San Germano (Ciene e San Dreman nella lingua dell’epoca) nei quali fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine per reprimere la protesta popolare: due dei numerosi episodi anti Savoja che caratterizzarono i primi anni della cosiddetta unificazione e dei quali la storiografia ufficiale si è sempre ben guardata di parlarne …


Altro dato fondamentale di tutta l’opera del Pittarini è la lingua parlata dai protagonisti: “un dialetto rustico” lo definisce lo stesso autore che non ha ancora subito gli effetti devastanti e massificanti della lingua italiana.
Lo stesso Bandini sottolinea come “la lingua patria rimane uno strumento ignoto al contado”; la lingua veneta del Pittarini è una lingua viva, di una espressività unica, a volte tragica, a volte comica, sempre permeata di buonsenso, di acuta osservazione, di dignità.

 

Interessante poi osservare come nella “Politica dei villani” venga inserito un vocabolarietto con tre tipi di parlata: l’italiano, il vernacolo (parlato dalle persone più in vista come il sindaco, il segretario ecc.) e il rustico (parlato dalla maggioranza della popolazione).
Del tutto particolare l’attenzione dello scrittore nel riportare con estrema attenzione le parole nuove che vengono sistematicamente “storpiate” dai nostri contadini (quasi un rifiuto della lingua italiana). E così carabinieri diventa “carbonieri”, scrutinio “grustinio”, mappamondo “nacamondo” ecc.

testo tratto da: http://www.miglioverde.eu/domenico-pittarini-beggiato/

.

domenico pittarini.jpg
bottom of page