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Discorso di Perasto

Pochi sanno che a Venezia il vessillo di guerra non arrivava mai,esso infatti era custodito dai Gonfalonieri, i quali giuravano di morire piuttosto che permettere alla bandiera il disonore di cadere in mano al nemico.

Per 377 anni il vessillo fu custodito a Perasto, nelle Bocche di Cattaro più interne.

Il Consiglio degli Anziani di Perasto eleggeva 12 Gonfalonieri,i quali costituivano un Corpo indipendente della Milizia Veneta da Mar, sotto il diretto comando del Capitano Generale da Mar.

Si ricordi che nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, morirono 8 Gonfalonieri su 12.
Il Capitano di Perasto era la massima Autorità Amministrativa e Militare locale; al tempo della caduta della Serenissima Repubblica, ricopriva questa Carica Giuseppe Viscovich, fratello del comandante della "Bella Annetta" che il 20 aprile 1797 aveva annientato l'incrociatore napoleonico "Liberateur d'Italie" alle bocche del porto di Venezia.

Caduta la Serenissima Repubblica in seguito all'avanzata napoleonica del 1797, l'Austria occupa militarmente la Dalmazia; i Perastini sono quindi costretti, ultimi fra tutti i Paesi della Repubblica, ad ammainare loro malgrado lo stendardo di San Marco, che con una mesta cerimonia,(il 23 agosto 1797,3 mesi dopo la caduta della serenissima) descrittaci dal contemporaneo mons. Vincenzo Ballovich, viene deposto nella Cattedrale del paese:

"I Perastini non che le genti del suo Territorio, ed altre ancora, si ragunarono dinanzi all'abitazione del Capitano ove le Venete Insegne si custodivano.
Ivi giunto il Luogotenente con dodici uomini, rappresentanti la guardia del Regio Gonfalone, armati di sciabola, seguiti da due Alfieri e preceduti da un Giudice, si recò nella Sala, dove stava la Bandiera di Campagna, e il vessillo del Gonfalone, che da più secoli la Veneta Repubblica per speciale e distinto privilegio aveva affidato al valore ed alla Fedeltà dei Perastini.
Dovevano essi levare quelle amate insegne; ma nel punto di eseguire un atto, che squarciava i loro cuori, perdettero le forze, e tante solamente ne conservarono, quante bastavano a versare un diluvio di pianto.
Il Popolo che affollato stava aspettando, e che non vedeva più nessuno uscire dalla Sala, non sapeva che pensarsi.
Mandossi un secondo Giudice del paese per ritrarne il motivo; ma questo rimase sì altamente commosso che con la sua presenza altro non fece, che aumentare la tristezza degli altri.
Finalmente il Capitano, vincendo per necessità sè medesimo, fà uno sforzo doloroso: distacca le insegne, le fa inalberare su due picche: le passa in mano ai due Alfieri, che scortati dai dodici Gonfalonieri e dal Luogotenente escono in ordinanza dalla Sala, e su' lor passi vengono ed il Capitano e li Giudici e tutti gli altri.
Appena fu visto comparire l'adorato Vessillo che diventò comune il lutto e universale il pianto. Uomini, Donne, Fanciulli tutti mandano singhiozzi, tutti spandono lacrime. Altro più non s'ode, che un lugubre gemito, contrassegno non dubbio dell'ereditario attaccamento di quella generosa Nazione verso la sua Repubblica.
Giunta la mesta comitiva in Piazza, il Capitano toglie dalle picche le insegne, e ad un tempo vedesi calar la bandiera di San Marco dalla Fortezza, che tira ventun colpi di Cannone.
Due vascelli armati per guardia del porto le rispondono con undici spari, e così fanno tutti i vascelli mercantili che ivi si trovano.
Fu questo l'ultimo atto che la fama posta a lutto diede al valor nazionale.
Le ossequiate insegne furono poste sopra un bacino; il Luogotenente le ricevette in presenza dei Giudici, del Capitano e del Popolo. Indi marciarono tutti con passo lento e malinconico alla volta della Chiesa principale.
Colà giunti, vennero accolti dal Clero e dal suo Capo, al quale si fece la consegna del venerato deposito, e lì lo pose sull'Altar Maggiore.
Allora il Conte Giuseppe Viscovich Capitano di Perasto proferì il seguente discorso, che fu tratto tratto interrotto da vivi singulti e da rivi di lacrime sorgenti ancor più dal cuore che dagli occhi:

"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, 

ne sia el conforto, o citadini, che la nostra condota pasada, 

e de sti ultimi tenpi, rende non solo più giusto sto ato fatal, 

Savarà da nu i nostri fioi, e la storia de el zorno 

l'onor de el Veneto Gonfalon, onorandolo co sto ato solene, 

e deponendolo bagnà de 'l nostro universal amaro pianto. 

ma virtuoxo, ma doveroxo par nu. 

farà saver a tuta l'Europa, che Perasto la gà degnamente sostenudo fin a l'ultimo 

Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur, e co sti nostri ultimi sentimenti 

sigilemo la nostra cariera corsa soto al Serenisimo Veneto Governo, 

rivolgemose a sta Insegna che lo rapresenta, e su de ela sfoghemo el nostro dolor. 

Par trexentosetantasete ani le nostre sostanse, el nostro sangue, 

le nostre vite le xè sempre stàe par Ti, S.Marco; 

e fedelisimi senpre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti, 

e senpre co Ti sul mar semo stài lustri e virtuoxi. 

Nisun co ti ne gà visto scanpar, nisun co Ti ne gà visto vinti e spauroxi! 

E se i tenpi presenti, tanto infelisi par inprevidensa, par disension, 

par arbitrii ilegali, par vizi ofendenti la natura e el gius de le xenti, 

non Te gavese cavà via, par Ti in perpetuo sarave stàe le nostre sostanse, 

E piutosto che védarTe vinto e desonorà da i tói, el coragio nostro, 

el nostro sangue, la vita nostra. 

la nostra fede se averave sepelìo soto de Ti. 

Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, 

el nostro cor sia l'onoradisima tó tonba, 

e el più duro e el più grando elogio le nostre làgreme."

"Terminato questo discorso, Monsignor Abate ne pronunziò un altro sullo stesso soggetto e con sentimento di uguale commozione; indi il Capitano si levò, ed afferrato un lembo dello Stendardo vi pose su le labbra senza poternele divellere, e ciascuno a gara concorse a baciarlo tenerissimamente, lavandolo di calde lacrime.Ma dovendosi una volta por fine alla cerimonia dolente, si chiusero quelle care insegne in una cassa che l'Abate collocò in un ripostiglio sotto l'Altar Maggiore.Poiché fu compiuto questo atto di verace attaccamento, non che gli altri uffizi dettati dal cuore, il popolo taciturno uscì di Chiesa portando in volto l'impronta della tristezza, e dell'ambascia, contrassegni li più infallibili della procella dell'anima.

Oggi dove si trova quel famoso vessillo?

"Il gonfalone della Serenissima l'hanno cercato anche i soldati italiani durante la seconda guerra mondiale" dice un signore, distinto, seduto sulla bitta di un "mandracchio".Parla un italiano perfetto, con leggera inflessione veneta.
"Hanno messo a soqquadro la città, le chiese, i palazzi, gli archivi.Non l'hanno trovato", sorride"Il gonfalone è sepolto con il suo segreto,c'era una vecchietta che lo sapeva, ma è morta tanti, tanti anni fa".

 

"Dopo la caduta della repubblica veneta nel 1797 i perastini", dice Don Branko Sbutega, storico e conoscitore profondo del patrimonio artistico delle Bocche 

"la nascosero. Anch'io l'ho cercata, invano, per anni. Eppure è qui. Non lontano. Nei piccoli confini della città." 

articolo tratto da:http://www.newmontenegro.eu/testimonianze/perasto.aspx

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