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Daniele Manin 1804-1857

Daniele Manin nacque a Venezia il 3 giugno 1804 in campo Sant'Agostino da famiglia ebraica convertita al cristianesimo.

Gli storici si dividono sul cognome originario: secondo alcuni fu Fonseca, secondo altri Medina. Quando fu battezzato gli fu imposto il cognome del padrino, come si usava all'epoca, fratello dell'ultimo Doge della Serenissima, Ludovico Manin: quasi un presagio.

Secondo alcuni autori, la portata storica della rivoluzione veneta del 1848-49 fu sminuita anche per la consistente presenza di ebrei fra i più stretti collaboratori di Daniele Manin; di certo il periodico italiano la "Difesa della Razza" nel 1939 scrive che

"i quaranta proscritti dall'Austria dopo la capitolazione di Venezia erano tutti ebrei, più o meno convertiti".

La madre fu Anna Maria Bellotto di Padova dalla quale ereditò una caratteristica profondamente veneta, la semplicità, quel suo modo di porsi che portò lo statista francese Ippolito Carnot a definirlo "eroe di saggezza, di coraggio e di semplicità".

Laureatosi giovanissimo avvocato, seguendo le orme paterne, apre uno studio legale in Campo San Paternian (oggi Campo Manin). La passione e l'orgoglio per la storia di Venezia lo porta a stampare il volume "Storia della Veneta Legislazione" lucidissima analisi delle leggi Serenissime.

Altrettanto passione dimostrava per la lingua veneta che in una lettera chiamerà "la mia bellissima lingua", da lui parlata in tutte le situazioni e che anzi contribuì all'efficacia della sua arte oratoria.
Collaborò con Giuseppe Boerio nella stampa di quel "Dizionario del dialetto veneziano" che ancor oggi rappresenta una fonte insostituibile nello studio della lingua veneta.

Le sue convinzioni profondamente repubblicane e di riscatto per la Terra di San Marco diventano pubbliche nel 1847 durante il IX congresso dei scienziati italiani; Manin è un sostenitore della "lotta legale" per arrivare all'autonomia e alle riforme.

Il 18 gennaio 1848 assieme a Niccolò Tommaseo viene arrestato dalle autorità austriache: il loro arresto diventa la scintilla che fa incendiare Venezia.

Diventa il Presidente della Repubblica Veneta, protagonista indiscusso dei diciasette mesi di straordinaria intensità.

Il 24 agosto 1849 parte con la famiglia per l'esilio di Parigi

 

Nel 1856 fonda la "Società nazionale italiana" a Torino, un anno prima della morte, avvenuta durante l’esilio parigino il 22 settembre 1857.  

Il motivo dominante dei suoi ultimi giorni sembrava essere una vendetta quasi ossessiva contro quell'Austria che aveva distrutto la sua libertà, la sua Patria, la sua vita, il suo futuro, invocando una redenzione che credeva ormai possibile solo sotto la corona sabauda,ben presto, infatti, il Conte Camillo Benso di Cavour prenderà il totale controllo di detta società e piloterà la sovversione liberale.

A tale proposito è interessante leggere cosa ne pensa Manin: 

"Il partito cui appartenni è una mano d'assassini"

(tratto dalla Gazzetta delle alpi n.135 del 7 giugno 1856)


Il 25 maggio 1856 dello stesso anno aveva mandato al giornale "Il Diritto" (che non la pubblicava, ma lo scritto veniva rilanciato dal Times di Londra) una lettera in cui denunciava l'assassinio politico come metodo usuale praticato dai liberali italiani; vi si diceva tra l'altro:

"E' cosa che strazia il cuore; è vergognoso il sentir ogni giorno di fatti atroci, di pugnalate, che succedono in Italia... possiamo noi negare che una parte di esse è perpetrata da uomini che chiamiamo patrioti, e che furono pervertiti dalla teoria del pugnale?"

 

Ecco alcuni passaggi del saluto dell'avvocato Luigi Priario di Genova in occasione del funerale:

"Un popolo intero che circonda un feretro! Di chi è questo feretro? Quali preziose ceneri sono raccolte in quest'urna? Le ceneri di un imperatore ? No. Così non si piangono e non si onorano gli imperatori da un popolo. No queste ceneri non vengono da Sant'Elena, e non si legge su questa bara il delitto di Campoformido(..)Queste ceneri non grondano sangue, né lagrime di un popolo. Sono le ceneri di un salvatore di un popolo. Sono le ceneri di un esule, che fu dittatore, e che volle ed ebbe la gloria di morir povero. Sono le ceneri di Daniele Manin! Chi è Manin? Manin è la virtù, Manin è l'onestà, Manin è il martirio...."

La sua tomba fu portata in un primo tempo all'interno della basilica di San Marco e dopo pochi mesi fu trasferita all'esterno nella piazzetta dei Leoncini dove ancor oggi si trova.

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