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Condizioni di vita sotto i Savoia

Cosa ci guadagna l'Italia dall'anessione del Veneto?
Per darne un'idea riporto le parole di Ruggiero Bonghi, un politico napoletano vissuto in quel periodo. (1826-1895)


"Iddio che ama,com'ella sa gli spensierati,ci dava la Venezia;il cui bilancio presentando un'entrata di circa 79 milioni di lire ed un'uscita di circa 54 per la sua interna amministrazione ed il proprio debito,ci dava un avanzo di 25 milioni,che scemavano d'altrettanto della spesa comune a tutta Italia"

("Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868".Lettere di Ruggiero Borghi al comm. Giuseppe Saracco senatore del Regno,Firenze 1868,pag 12)

 

 

Cosa ci guadagna il Veneto dall'entrata nel regno d'Italia?
Con l’arrivo dei tagliani comincia per i veneti un vero e proprio olocausto: l’aumento esponenziale delle tasse, la vendita delle terre comuni, la militarizzazione del territorio e la coscrizione obbligatoria portano in pochi anni all’emigrazione di quasi il 25% della popolazione.Questi fatti si possono riscontrare in diverse fonti:

 

I contadini,nei mesi successivi al plebiscito,si impossessarono delle terre incolte e se le picchettarono, lo stato però voleva assegnarle ai grossi proprietari fondiari,ci furono così repressioni e arresti.
- Il prefetto di Montagnana,Giuseppe Madalosso per rispondere alla questione scrisse:

 

"Al bracciante, il nome d'Italia suona imposte, leva, prepotenza delle classe agiate; dal giorno che di questo nome ha sentito parlare, vede per ogni verso peggiorata la sua sorte; nella classe che sta sopra egli ravvisa gente che abusa dei propri mezzi per opprimerlo e per costringerlo a dare il suo lavoro a sempre minor prezzo. L'esattore e il carabiniere sono i soli propagatori della religione di Patria; è con la bolletta d'esazione, con le pallottole del fucile, con la libertà dell'usura con la disuguaglianza nella politica e con la disuguaglianza di fatto dinanzi alla giustizia che gli si insegna essere l'Italia la grande madre comune". 

 

 

- Enrico Scorzon nel suo saggio “Padova e la sua provincia” del marzo 1966 (riportato da Diego Valeri, nel suo libro “Padova, i secoli, le ore.”), cita uno di quei “bollettini di informazione” messi in giro dai Savoia appena erano scomparsi gli austriaci dalla città: nel “Bollettino del Popolo” del 17 luglio era scritto:

“Dopo la caduta del governo austriaco il Tribunale di Padova non ebbe a registrare alcun fatto. Si è suicidato solo il fanatico austriacante Giuseppe Milani, carradore di Brentelle, non potendo soffrire la vista del tricolore vessillo!”

(Diego Valeri, “Padova, i secoli, le ore”, c. ed. Edizioni ALFA, Bologna, 1967, p. 325)

(interessante notare come gli italiani considerino un suicido fatto di poco conto)

 

- La Civiltà Cattolica,nel volume XI anno 1867 scrive:

"Non erano trascorsi sei mesi,dacchè le province venete erano state annesse al beatissimo regno d'Italia, e gia i diarii eziando ministeriali erano costretti a registrare le prove lampanti di due fatti che mettono in bellissima luce qual guadagno abbiano fatto quei popoli a cangiar di padrone.I fatti capitali erano questi: 1°L'enorme dispendio che costava colà l'apparato di sicurezza quasi triplo di gendarmi e guardie,con la spesa quadrupla di numero di renitenti al servizio della guardia nazionale,da cui,massime nelle campagne si rifuggiva con assai minor(recte:maggior) orrore che l'altra volta dall'essere incorporato nei reggimenti italiani dell'Austria.Affinchè si abbia un saggio del primo fatto basta indicare che la sola polizia di Verona,la quale costava al governo austriaco non più di lire 22.945 ora,quando quel popolo non dovrebbe più aver bisogno di polizia trovandosi felicemente sotto un governo nazionale,costa nondimeno di lire 84.400,quasi il quadruplo"

 

 - l’ "Arena di Verona", giornale da sempre nazional-tricolore, nel numero del 9 gennaio 1868 scrive:

“Fra le mille ragioni per cui noi abborivano l’austriaco regime, ci infastidiva sommamente le complicazione ed il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l’eccessivo numero degli impiegati e specialmente di guardie e di gendarmi di poliziotti e di spie. Chi di noi avrebbe mai atteso che il governo avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale di pubblica sicurezza, di carabinieri, ecc..?”

 

- Federico Bozzini su "Ombre Bianche" dell'aprile 1979 scrive:

"La storia della nostra regione, così come ci è stata raccontata dagli storici ufficiali ed accademici, è un falso solenne direttamente funzionale a costruire un'immagine mona della nostra gente.(..)

"In buona sostanza, secondo la storia ufficiale, nell'ottobre del 1866 i contadini veneti con occhio ebete guardaron partire i padroni austriaci e videro arrivare quelli piemontesi. Si tolsero deferenti il cappello e continuarono a lavorare e a digiunare come sempre. Non successe nulla."


- Sempre Federico Bozzini in "L'arciprete e il cavaliere"  riferendosi all'immediata destituzione dei veneti dalle cariche amministrative/universitarie ecc. scrive:


"Questo favoritismo pesò e pesa anche il Veneto,poichè dal di della liberazione si ritolò entro una nuvola d'impiegati italiani tra cui molti piemontesi, i quali col para grandine di esservi posti a guide per ben conoscere i nuovi sistemi , a poco a poco vi si vanno insediando stabilmente nelle cariche più cospicue ,ed ai poveri veneti vi si lasciano gli antichi crostoli a rosicchiare. Crede il governo che i veneti non abbiano gente capace di porsi a capo di qualche amministrazione,lasciando loro il tempo di studiarne per pochi mesi così praticamente che teoricamente la nuova amministrazione?(..)Si crede il Veneto una vallata savoiarda di cretini? Che la si ritenga la Beozia d'Italia?"

 

- Domenico Pittarini in una lettera inviata pochi giorni prima di morire scrisse:

 

“Ghe cago ai talgiani”,

“ste sènache porche” 

“i ne monde, i ne tosa, i n’inciòa, gnancora saemo un fiol de na scroa”

“marsoni” 

“dente salvadega che magna i cris-ciani, pì pedo dei Turchi e dei Luterani”

 

- Daniele Lampertico scrive:

 

"... nelle nostre campagne sono poveri tutti, i fittavoli, i proprietari di fazzoletti di terra, incredibilmente poveri i braccianti, i salariati, gli artigiani..." 

 

- Gianpaolo Romanato scrive in "L'italia della vergogna nelle cronache di Adolfo Rossi":

"Ogni volta che in una stalla dei villaggi del Polesine muore di qualche malattia un bue o una vacca,il veterinario del mandamento ne ordina il sepellimento. E questo viene eseguito da tre o quattro contadini in presenza dell'usciere municipale.
Ma appena questi si allontana di pochi passi,succede una scena selvaggia.Venti o trenta contadini armati di badili,di accette,di falci e di coltelli si avanzano frettolosamente,disotterrano l'animale e lo tagliano cercando ognuno di prendersi i pezzi migliori"

 

Quale fu la conseguenza principale di questa situazione disperata?
 

I veneti furono costretti a emigrare in massa in Argentina,Brasile,Messico..;
celebre è il caso dell'emigrazione veneta in brasile e del TALIAN

La poesia-simbolo di questa emigrazione è "I va in Merica" del poeta veronese Berto Barbarani:

 

I va in Merica

 

Fulminadi da un fraco de tempesta,

l'erba dei prè, par 'na metà passìa,

brusà le vigne da la malatia che no lassa i vilani mai de pèsta; 

 

ipotecado tutò quel che resta, 

col formento che val 'na carestia,

ogni paese el g'à la so angonia

e le fameie un pelagroso a testa! 

 

Crepà, la vaca che dasea el formaio,

morta la dona a partorir 'na fiola,

protestà le cambiale dal notaio,

 

na festa, seradi a l'ostaria, 

co un gran pugno batù sora la tola: 

«Porca Italia» i bastiema: «andemo via!»/

 

E i se conta in fra tuti.- In quanti sio?

Apena diese, che pol far strapasso;

el resto done co i putini in brasso,

el resto, veci e puteleti a drio"

 

Ma a star quà, no se magna no, par dio,

bisognarà pur farlo sto gran passo,

se l'inverno el ne capita col giasso,

pori nualtri, el ghe ne fa un desìo!

 

Drento l'Otobre, carghi de fagoti,

 dopo aver dito mal de tuti i siori,

dopo aver fusilà tri quatro goti; 

 

co la testa sbarlota, imbriagada, 

i se dà du struconi in tra de lori,

e tontonando i ciapa su la strada!

 

 

Riporto, a titolo di annedoto,anche alcune filastrocche dell'epoca:

 

 

“Vegnarà Vitorio Manuele

Se patirà ‘na stissa de coele

‘l vegnerà con mostaci e barbeta

se patirà na fame maledeta”

“Se dura el furor dei monumenti

Un monumento avrà Quintino Sella

Che con un tratto di saggezza rara

La polenta ci ha resa assai più cara”

"Bianco rosso e verde
el color dele tre merde
el color dei panisei
la caca dei putei

“Co le teste dei tagliani

zogaremo le borele (bocce)

e Vittorio Manuele

metaremo par balin”

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