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Bonifica dell'Agro - Pontino

Il Veneto, subito dopo la fine della prima guerra mondiale,soffriva di gravi squilibri sociali ed economici per diversi motivi:


 - la guerra,combattuta per lo più nelle terre venete, aveva provocato ingenti danni radendo completamente al suolo interi paesi,nemmeno i campi vennero risparmiati.

- a causa della crisi economica si verificarono innumerevoli atti di violenza e di ribellione alle istituzioni come assalti di forni,panetterie,fabbriche

- oltre un milione di persone vivono in abitazioni non in muratura, cioè di fango e fogliame; nella città l’affollamento è ormai ai limiti della sopportabilità e i suicidi sono in aumento

- I centri urbani più importanti sono invasi da miglia di immigrati in cerca di lavoro o di assistenza,menre le periferie si riempiono di baracche (Mussolini li definirà villaggi abissini)

 

Per il fascismo si profila, dunque, il rischio di essere messo in discussione, di dimostrare al mondo il fallimento della tanto acclamata alternativa politica.

Da questo contesto nasce l'idea della "bonifica integrale" cioè la fondazione di nuove città nelle paludi pontine (Lazio).

 

"Ubbidendo al richiamo della terra, nel solo triennio 1933-1936, rimpatriarono nel Veneto 16.446 lavoratori agricoli, riportando, colla loro volontà lavorativa, la fede nella capacità produttiva della Madre Patria e la certezza nei futuri destini della razza”

(tratto da  “l’Emigrazione Veneta dell’Agro Pontino ,Oscar Gapari, 1985)


Nel 1932/33 le prime 466 famiglie che giungono nell’Agro Pontino sono quasi tutte Venete.


“Con un treno speciale, nel marzo del 1932, sono partiti dalla stazione ferroviaria circa 400 coloni diretti a Littoria, sono famiglie di contadini dei comuni di Padova e provincia, che fiduciosi e lieti, si avviano per portare la loro operosità in quelle terre che il fascismo redime ed il genio del Duce vuole popolari e rendere prosperose”.

 


"Trenta capi famiglia polesani, scelti tra i numerosissimi che hanno fatto domanda di poter emigrare nell’Agro Pontino, sono partiti per Roma. Nella capitale i trenta capi famiglia sono stati ricevuti da S.E. Starace che a loro parla in nome del Duce ed hanno quindi proseguito per Littoria. Con questo nuovo scaglione sono ormai 125 le famiglie coloniche polesane migrate a Littoria. Tra il giovanile entusiasmo questi forti lavoratori dei campi hanno lasciato la loro terra al canto di “Giovinezza” ed inneggiando al Duce"

(Il Regime Fascista, 17 agosto 1933)

 

Furono inviati dei funzionari nelle varie province venete ,dove gli uffici provinciali di collocamento avevano già raccolto appositi moduli e migliaia di domande di famiglie di braccianti desiderose di migrare, sui quali erano messe in evidenza le capacità tecnico-agricole dei componenti, le colture già eseguite con successo, le attività svolte. Esse contenevano anche il giudizio delle autorità locali sul comportamento morale, politico, religioso del capo famiglia che doveva avere la qualifica di ex combattente.

Dopo la scelta e durante lo spostamento dal luogo di origine sino alla nuova casa e al podere, funzionari del Commissariato vigilano, assistono, accompagnano le famiglie nelle loro nuove abitazioni.


Nel 1939, quasi all’inizio della seconda guerra mondiale, i dati relativi ai lavori compiuti nell’Agro Pontino davano queste indicazioni: erano stati bonificati circa 65.500 ettari di terreno sui quali furono costruiti 3.851 case coloniche, delle quali 2953 dall’Opera Nazionale Combattenti, ente bonificatore, e 898 dalle Università Agrarie locali e dai privati. Erano state fondate dal 1932 cinque nuove città: Littoria, capoluogo di provincia, Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia, e 17 Borghi.

La distribuzione della popolazione agricola è così suddivisa: 350 poderi delle Università Agrarie sono ceduti ad enfiteusi a famiglie originarie dei rispettivi comuni (Sermoneta e Bassiano); i poderi privati, nella maggioranza, furono concessi a mezzadria a coloni marchigiani e solo pochissimi sono quelli affidati a famiglie venete. L’Opera Nazionale Combattenti assegna invece ai coloni veneti 1.748 poderi su 2.953, quasi il 59,2%: Treviso con 340, Padova 276, Rovigo con 233, Vicenza con 228, Verona con 220, Venezia con 114, Belluno con 28 famiglie.

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E' interessante leggere le testimonianze dirette:

“Son partito nel 1932 da Portotolle, gli ultimi giorni di ottobre; siamo venuti per migliorare le nostre condizioni; i vieri erano razionati e si lavorava molto. Abbiamo trovato le case già costruite ed abbiamo cominciato a coltivare il grano e il foraggio per le bestie. Di grano se ne produceva molto, in quanto la terra non era stata sfruttata, e questa era già stata arata dalla macchina a vapore. Non usavamo l’aratro. L’unico momento d’incontro era il ballo. C’erano solo le scuole elementari; io frequentavo solo la prima e da ragazzo sono andato in guerra. Una delle più grandi difficoltà era la malaria e la Croce Rossa ci distribuiva il chinino" 

(nonno di Katia Banin)


“Sono partita da Padova il 20 novembre del 1932 con tutta la famiglia. Siamo arrivati a Roma il giorno seguente e abbiamo preso il treno per Cisterna; da Cisterna con un camion ci hano portati a Littoria dove i hanno ospitati in un ospedale per 8 giorni perché non c’erano abitazioni. Le uniche costruzioni erano il bar Poeta e la chiesa di San Marco. Poi ci hanno assegnato un podere a Casal Dei Pini (B.go Grappa) vicino al mare. I primi giorni sono stati difficili; le motivazioni dello spostamento furono queste: Mussolini aveva fatto promesse, cioè dare la terra a tutti coloro che sarebbero venuti nell'Agro Pontino a fare la bonifica ed aveva promesso che si sarebbero trovati bene, ma…”.

(nonna di Marco Succi)

 

 “Siamo partiti dalla stazione di Rovigo nel 1932 ed abbiamo preso il treno merci. Arrivati a Cisterna siamo stati trasportati fino a Borgo Carso con il camion e ci hanno portati in una casa dove non c’erano ne mobili, ne niente. Dal nuovo insediamento ci aspettavamo molta ricchezza; davano due quintali di grano all’anno ad ogni famiglia e 100 lire al mese; abbiamo voluto allevare galline per vivere, perché così in cambio delle uova ci davano l’olio ed altri alimenti. Lo spostamento è stato di gruppo e nei primi tempi eravamo dipendenti dell’Opera Nazionale Combattenti. Da loro dopo la bonifica ci furono date le bestie ed anche 200 lire al mese, con queste vi si comprava di tutto”.

(nonno di Monica Stoppa)

 

Sono testimonianze interessanti anche le canzoni dell'epoca

 

“Son vegnù in Piscinara

  par trovarme na morosa

  go ciapà la “perniciosa

  restarò da maridar"

  (Perniciosa = malaria)

 

 

(liberamente tratto da “Veneto, ieri, oggi, domani” n.7 1990)

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