Assedio di Cipro
Nel 1569 viene eletto capitano del regno di Cipro Marcantonio Bragadin il quale si reca a Famagosta (città sulla costa orientale di Cipro) per assumere il governo civile dell'isola;appena qualche mese dopo,nel marzo del 1570 si presenta, a Venezia, al cospetto del doge Pietro Loredan un ambasciatore del sultano turco Selim II con una richiesta inequivocabile, vediamone un estratto:
"Vi domandiamo Cipro che ci dovete per amore o per forza. E guardatevi dall'irritare la nostra terribile spada, perche' vi muoveremo guerra crudelissima in ogni parte; ne' confidate nella ricchezza del vostro tesoro, perche' faremo in modo che esso vi sfugga di mano come torrente...".
(tratto da "Gli assedi e le loro monete(491- 1861)" 1975- M. Traina)
Così nel luglio del 1570 i turchi sbarcarono a Cipro con quasi 100.000 uomini al comando del capo supremo Mustafà Pascià ; Nicosia,prima fortezza dell'isola capitolò dopo due mesi di lotta il 7 settembre 1570. La città si arrese in cambio di un salvacondotto per gli abitanti, ma Mustafa Pasha fece comunque massacrare l’intera popolazione.
Molte donne invece furono prese schiave per essere vendute al mercato di Istanbul,tra queste c'erano anche delle nobildonne veneziane che di fronte a questa insopportabile e vergognosa prospettiva giunte al porto decisero un atto estremo: Belisandra Maraviglia riuscì a dar fuoco al deposito di munizioni della nave che saltò in aria con tutto il suo povero carico umano ed investì anche due navi minori. Si salvarono alla fine solo lo scrivano e 6 turchi.
A proteggere l'isola rimaneva solo Famagosta difesa da una fitta rete di mura difensive, da circa 7000 soldati e 500 cannoni.
“Le fortificazioni, opera del celebre architetto Sammicheli, sono frutto delle più avanzate concezioni belliche: la cinta rettangolare delle mura, lunga quasi quattro chilometri e rafforzata ai vertici da possenti baluardi, e’ intervallata da dieci torrioni e coronata da terrapieni larghi fino a trenta metri. Alle spalle le mura sono sovrastate da una decina di forti, detti “cavalieri”, che dominano il mare e tutta la campagna circostante, mentre all’esterno sono circondate da un profondo fossato. La principale direttrice d’attacco e’ difesa dall’imponente massiccio del forte Andruzzi, davanti al quale si protende, piu’ basso il forte del Rivellino”.
(tratto da "Gli assedi e le loro monete(491- 1861)" 1975- M. Traina)
Per intimorire il governatore Bragadin, Mustafa gli fece recapitare una cesta con la testa del governatore di Nicosia, Nicolò Dandolo, ma la cosa fece solo irritare ancora di più Bragadin e Astorre Baglioni, capitano di ventura e comandante militare.
Il 22 settembre 1570 iniziò il blocco di Famagosta: per i primi mesi Mustafà si limitò a lasciare qualche decina di navi nelle acque circostanti per tagliare i rifornimenti alla città,questo però permise alla città di ricevere l'aiuto di Marcantonio Querini da Creta (1.600 soldati) e di Venezia (800 soldati).
I rinforzi in arrivo ai turchi furono però di tutt'altra consistenza: 100.000 soldati e altrettanti operai (scavatori di trincee, portatori, ecc.).Si calcola che il rapporto difensori vs assedianti fosse di 1:25-30
Nel marzo 1571 iniziò l'assedio vero e proprio:il primo assalto durò quasi 10 giorni e lasciò sul campo 30mila turchi.
Nei successivi quattro assalti, avvenuti fra giugno e luglio, caddero altri 20mila turchi e la maggior parte dei difensori.
Durante questo periodo,si narra di un bombardamento continuo durato mesi! piovvero su Famagosta oltre 150mila palle di cannone.
Lo storico inglese Rupert Gunnis stimò: “(..)80 mila morti tra i turchi, circa 6 mila tra i veneziani con una linea di combattimento non più lunga di 2 kilometri"
Alla fine del luglio 1571, a difendere Famagosta erano rimaste poche centinaia di soldati; i generi alimentari scarseggiavano. Oltre a questo, i rinforzi promessi dai regnanti europei tardavano ad arrivare (tanto che le navi iniziarono a riunirsi a Messina solo a fine agosto 1571).
Sebbene Bragadin e Astorre fossero contrari alla resa (memori forse del massacro di Nicosia), alla fine i nobili ciprioti gli imposero di accettarla.
Il 4 agosto 1571, i due consegnarono a Mustafà le chiavi della città e ottennero un salvacondotto per i soldati fino a Creta.
Mustafà chiese che il comandante e i suoi ufficiali si recassero da lui,prima di partire,alla volta di Creta,per complimentarsi con loro per la valorosa resistenza,ovviamente fu solo una meschina finzione,come possiamo apprendere direttamente dal testo qui sotto:
"(..)Arrivati appena il Bragadin con gli altri, come abbiamo detto, alla tenda di Mustafà, si ordinò loro che deponessero le armi, e con lieta e benigna maniera lo stesso Mustafà salutò tutti, e con la stessa sua mano li introdusse nella sua tenda, e volle sedere con loro, cominciando un piacevole e grato discorso, laudando la loro industria e fortezza nel difendere la città.
Qualche tempo dopo, tutto convertito in furore, e con tuono imperioso, si rivolse al Bragadino, e gli disse:
“Che cosa hai fatto de’ miei prigionieri che tenevi nella fortezza?”
ll Bragadino rispose: “Parte nella fortezza si custodiscono, parte a Venezia furono mandati.”
Mustafà divenendo rosso con li occhi fattisi truci e con la schiuma alla bocca e con voce assai torbida disse:
“Così ancora ardisci mentire quando li hai tutti trucidati?”
[…Mustafà, infuriato, e tempesta Bragadin di domande analoghe a quest’ultima. Alla fine ordina alle guardie di prenderli prigionieri..]
Questo gli fu facile [prenderli prigionieri], poiché, come dicemmo, a quelli non fu permesso di entrare nella tenda con le armi, ed erano tutti inermi. Allora quel furibondo comandante, di sua mano cominciando la carnificina, tagliò al Bragadino con la sciabola la destra orecchia, ed ordinò ad uno dei suoi satelliti che gli tagliasse la sinistra; quindi preso dall’ira, comandò che quanti cristiani si trovassero nell’esercito, tutti fossero trucidati.
Così ha egli dato ansa al furore de’ Turchi, che immediatamente trecento cristiani furono tagliati a pezzi. Volle poscia, con ogni perfidia, acciocchè apportasse maggior dolore al Bragadino, che subito fuori della tenda, ed alla presenza di questi fosse tagliata la testa ad Astorre Baglioni, a Luigi Martinengo, ed obbligato egli stesso per tre volte a porgere ii collo, come si fosse per tagliargli la testa, lo insultarono quei scelleratissimi, calpestandolo con li piedi, trascinandolo per terra, sputandogli in faccia, gridando quell’empio Mustafà:
“Dov’è il tuo Cristo, che ti liberi dalle mie mani?”
I cristiani perdono la testa davanti a Mustafa
[…] tutto l’esercito cominciò a dirigersi alla città per trucidare i cristiani, e distruggere tutte le abitazioni. Questa cosa, quantunque subito la si sia proibita con pubblico editto, pure molti contro il comando sono entrati in quella città, e sparsi per le strade, tutti quelli che incontravano, senza distinzione di alcun ordine, di sesso e di età, battevano, spogliavano, maltrattavano, e ne uccisero molti, affliggendo così crudelmente tutti quegli abitanti. Passati poscia al porto, tutti‘ quelli cristiani che erano entrati nei navigli legarono con le catene ai banchi delle galee, rapito loro prima tutto quello che avevano, e percuotendo pur anche col bastone quegli infelici.
Comandò quel crudelissimo comandante che si portassero alla tenda tutte le teste di quelli decapitati, fra i quali fu riconosciuta quella di Andrea Bragadino castellano e di Gio. Antonio Quirini patrizio veneto, e vennero queste unite a quelle di Astorre Baglioni e di Luigi Martinengo.
Nestore Martinengo, essendo per alcuni giorni riuscito a nascondersi da alcuni che godevano la grazia di Mustafà, venne fatto prigioniero. Entrato poi il giorno 4 settembre 1571 nella città, esercitò un comando crudelissimo contro di Lorenzo Tiepolo e di uno de’capitani Manolio Spilotto, albanese. Condotti per la città, colpiti da pugni e da calci, fattosi di loro ogni scherno, e dopo di averli percossi con sassi, vennero impiccati, squartati, tagliati a pezzi, e gettati ai cani. Nel giorno otto dello stesso mese venne condotto il costantissimo Bragadino a tutti i luoghi adoperati al supplizio, soffrendo grande infermità, colla testa mezzo putrefatta per le orecchie che gli si erano tagliate, e che non si erano medicate, forzato in tutti i luoghi innanzi e indietro a portare smisurati sassi, gettato a terra, ed ivi delle cose più turpi interrogato, presente sempre il perfido Mustafà.
Poscia tradotto nella galera di Rapamato, fu l gato ad una tavola, ed innalzato per obbrobrio ed ingiuria sino la cima di un’antenna, dicendo Rapamato, mentre s’innalzava:
“Osserva, comandante, se la tua armata arriva? Guarda, o capitano, se sopravviene l’aiuto? Non vedi le tue galere?”
A questo (mentre rideva Mustafà) come ha potuto con moribonda voce il Bragadino rispose:
“Perfido Turco, queste sono quelle promesse che sul tuo capo mi hai giurato, che segnasti nelle capitolazioni, scritte e segnate coll’imperiale suggello del tuo signore, e che hai confermato chiamando lddio in testimonio della tua fede? Qual lode e gloria porterai al tuo signore per una città priva di ogni aiuto, che con tante forze, con immensi soldati, coll’eccellente tuo valore non hai potuto espugnare, ma, ricevuta per dedizione, le hai praticate tutte le perfidie possibili? lddio voglia che questa voce possa risonare per l’universo tutto, e si faccia nota a tutti la perfidia de’Turchi. Pure ciò che non posso far palese, lo farà la fama, che renderà pubblico l’esempio a tutti gli uomini della mia morte e di quella crudelissima di tanti innocenti gravati di obbrobrio e d’ingiurie, acciò sia certo documento non doversi prestar fede a quelli che non ne hanno alcuna, e che solo eccedono in crudeltà.”
Dopo di averlo così trattenuto sospeso per lo spazio di mezz’ora, Rapamato ordinò che si abbassasse, e quan tunque fosse tanto debilitato che poteva appena reggersi in piedi, pure si maltrattava, si spingeva, si bastonava-Mentre tanto crudelmente si trattava fra i comandanti, diceva egli:
“Straziate il mio corpo, ma il mio coraggio non minorate. ll corpo lo potete lacerare, ma non toglierete alcuna forza al mio spirito.”
Finalmente tradotto nella principale piazza di Salamina destinata al supplizio dei rei, e spogliato dei vestiti, venne legato alla colonna della bandiera, e dal carnefice (o indegna azione!) fu incominciato a scorticare, cominciando dalla schiena e le spalle, quindi passando alle braccia ed al collo, esclamando per facezia quel perfido tiranno: “Fatti turco, se vuoi esser salvo”.
Quel pazientissimo martire niente rispondeva, ma innalzato il capo al cielo, diceva:
“Gesù Cristo mio Signore, abbi misericordia di me. Nelle tue mani raccomando il mio spirito. Ricevi, mio Dio, questa mia misera anima, e perdona a quelli che non sanno ciò che si facciano”.
Compita a levarsi la di lui pelle dal capo e dal petto, ed arrivato all’ombellico, quell’ uomo tollerantissimo e costante, perseverante nella fede di Gesù Cristo, volò a quello, la cui divinità aveva testificata col suo santissimo martirio, a quello cui aveva dato il più insigne testimonio col suo sangue, uscendo finalmente da questi terreni legami, da questa carcere mortale, e da quel corpo, nel quale tanto con gloria era stato il suo spirito custodito, e ciò per ’’la scelleraggine esecranda di Mustafà, per l’aperta violazione dei giuramenti e per accuse falsamente inventate.
Il suo capo fu appeso ad una forca nella gran piazza, ed il suo corpo diviso in quattro parti, fu esposto in quattro principali luoghi della città. ll cuore e le viscere in un quinto luogo furono poste. La pelle, di paglia ripiena ed adorna de’ suoi usitati vestimenti, e col cappello rosso coperta in parte la testa ottimamente adattata come se fosse un corpo vivo, fu tradotta per la città e per tutte le strade sopra di un bove, ovvero vacca, con due Turchi che l’ accompagnavano , che sembravano servirlo, uno de’quali teneva l’ombrella alla faccia, e seguitata dallo strepito di molti tamburi e trombe, acciò s’imprimesse maggior terrore nel popolo, spaventato, recitando per editto con grave voce le seguenti parole:
“Ecco il vostro signore: venite ad osservarlo, salutatelo, veneratelo, acciò ripetiate da lui il premio di tante vostre fatiche e della vostra fedeltà”.
Fu essa pelle con le insegne e con le teste di Astorre Baglioni, di Luigi Martinengo e di Andrea Bragadino tradotta in una galera, e per comando del feroce Mustafà, come se fosse glorioso spettacolo, o memorabile trofeo, fatta vedere a tutti i popoli della Siria, Cilicia ed altre marittime genti e nazioni.
(tratto da “Storia di Salamina presa e di Marc’ Antonio Bragadino comandante”, Antonio Riccoboni ,1843)
L'epilogo di questo sanguinoso assedio fu ,per Venezia,la perdita definitiva del regno di Cipro inoltre fu un ulteriore stimolo per le potenze europee a fermare l'avanzata dei turchi,capaci di simili atrocità,fatto che avvenne nell'ottobre del 1571 con la battaglia di Lepanto.
Nel 1580 Girolamo Polidori ,un giovane marinaio veneziano, riesce a trafugare dall'arsenale di Costantinopoli la pelle di Bragadin;viene portata a Venezia e conservata nella chiesa di San Gregorio per essere trasferita in un secondo momento in quella dei santi Giovanni e Paolo dove ancor oggi si trova.